Auto elettriche e non: cortocircuito esemplare…

Molti di noi si stanno appassionando alle auto elettriche: del resto, se anche costano tanto (dicono, per ora), ci fanno sentire molto ecologici amici di Greta. Poi, siccome costano tanto, sono lussuose quel tanto che basta per trasformarle anche in uno status symbol: della serie, «sono un ecologista, non un poveraccio», potremmo dire un ecological chic.

Vantaggi economici delle auto elettriche

Ma clarissa.it non ti lascia mai in pace con la tua coscienza, pur così bene allenata dalla società dei consumi e del benessere. Prendiamo allora un esempio: in una recente prova su strada di 360 chilometri, il super SUV elettrico Audi e-tron da 2,5 tonnellate di peso ha consumato in media 19 kWh/100 km.

Ebbene, anche se si tratta a dire il vero del peggior risultato fra le auto elettriche alto di gamma testate da una rivista specializzata, la ricarica elettrica necessaria a percorrere questi 360 chilometri è costata appena 14,77 euro sulla bolletta domestica.

Una spesa che corrisponde al costo, per la stessa percorrenza, del rifornimento necessario a un’utilitaria Renault Twingo GPL, che pesa solo 990 kg.

Allora, se davvero vogliamo fare gli ecologisti, ci dovremmo chiedere la ragione di questo enorme vantaggio economico a favore dell’energia elettrica nell’autotrazione?

Esso, abbiamo visto, non è giustificato dal rendimento: nel senso che il valore di efficienza totale nel ciclo di produzione/utilizzazione dell’auto elettrica è pari, se non inferiore, all’efficienza di un piccolo motore endotermico di ultima generazione.

Perché, allora, l’elettrico spende meno?

Perché il carburante ordinario è gravato di tasse.

Quindi, di fatto, la grande maggioranza di persone di reddito medio-basso, che compra e usa vetture a combustione del livello della ricordata Renault Twingo – il cui prezzo di acquisto è di circa 13.000 euro, paga con le proprie tasse anche la mobilità di una parte più piccola e privilegiata, che può permettersi di acquistare un’auto elettrica da 83.930 euro (nel caso della versione base dell’Audi, ma anche di più per una Tesla, o importi comunque altissimi per BMW, Jaguar, ecc.), rifornendola con le tariffe agevolate dell’elettricità per uso domestico.

Se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo quindi che questa piccola e parziale notizia è un’intuitiva e paradigmatica esemplificazione dell’iniquità sociale figlia della globalizzazione, che ha istituito una libertà da controlli, tasse, solidarietà sociale per le classi di reddito economicamente superiori, che spesso vivono di profitti puramente speculativi, spostabili a piacimento, non soggetti a regolamentazioni e a giurisdizioni territoriali.

Tutti gli oneri (sociali, fiscali, previdenziali, normativi) restano invece, e si accrescono, sulla testa di chi lavora sul territorio e, per questo, non è libero di farsi una fiscalità o delle regole à la carte come per chi opera su scala globale.

Automobili, lavoro, indipendenza

Senza contare che i meno abbienti, la maggioranza di noi, non potendosi permettere un rinnovo frequente della loro modesta vettura, sono poi gli stessi che vengono periodicamente stigmatizzati come responsabili dell’invecchiamento del parco macchine e quindi dell’inquinamento del Paese.

Avanti dunque con le nuove auto, presentate come sempre più ecologiche, e avanti anche con gli incentivi per il loro acquisto, a tutto beneficio della produzione automotive che è too big to fail, per cui va sostenuta ad ogni costo, anche quando una grande multinazionale prende e si trasferisce all’estero, dopo avere beneficiato in Italia per un secolo almeno (a partire dalla Grande Guerra…) di aiuti di Stato senza limitazione. Per inciso: qualcuno ha fatto i conti di quanto ci è costata la ex-Fiat in termini di ambiente in Italia, visto che essa ha dettato per decenni la linea di sviluppo del Paese – non ferrovie ma autostrade?

Intanto giacciono dimenticati, senza trovare i capitali necessari per il loro sviluppo in produzione, brevetti che, anche nel settore auto, potrebbero realmente cambiare le cose (idrogeno, aria compressa). Eppure, il capitalismo non si è sempre vantato di garantire la più efficiente possibile allocazione dei capitali?

Ecco le epocali contraddizioni, colte in uno dei tanti passaggi, inosservati dai grandi media, di un’organizzazione sociale che costruisce il cosiddetto mercato secondo regole che creano privilegi per la speculazione mentre tolgono dignità al lavoro e legano individui e Stati grazie alla creazione ed al controllo del loro debito.

Con buona pace di tutti i cantori della Costituzione, che, sempre citandone l’articolo 2, nella pratica ignorano le più ovvie esigenze del lavoro e dell’indipendenza di un popolo.

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