Scegliersi un nemico: il dilemma Usa fra Russia e Cina

Sta maturando sempre più negli Usa la discussione sul quale potenza straniera rappresenti il vero pericolo per l’egemonia mondiale americana. La discussione è tanto più interessante in quanto riprende temi classici della politica imperiale statunitense.

La linea Brzezinski

Da una parte la linea più tradizionale, quella che si ispira alle idee di uno dei più influenti strategists della politica internazionale americana, Zbigniew Brzezinski, intramontabile consigliere dei presidenti da Lyndon B. Johnson a Jimmy Carter, che nel 1997 aveva affermato che la maggiore minaccia per gli interessi a lungo termine degli Usa era rappresentata da una “grande coalizione” russo-cinese, due potenze unite non più dall’ideologia comunista quanto da “rivendicazioni complementari” nei confronti degli Stati Uniti.

Questa minaccia è sembrata via via concretizzarsi negli ultimi due decenni, dato il costante riavvicinamento delle due potenze euro-asiatiche, che non solo hanno creato stabili rapporti di collaborazione politica economica e militare, ma che spesso hanno preso in sede Onu posizioni molto vicine, se non identiche, in particolare rispetto alle problematiche del Medio Oriente.

“La Cina e la Russia avanzeranno una vasta gamma di sfide economiche, politiche, di controspionaggio, militari e diplomatiche agli Stati Uniti ed ai loro alleati. Prevediamo che collaboreranno per contrastare gli obiettivi degli Stati Uniti, approfittando dei crescenti dubbi in alcune aree del mondo sulla validità del modello liberal-democratico”, ha dichiarato il direttore della United States Intelligence Community, che raccoglie le diciassette agenzie americane che si occupano di sicurezza e spionaggio, Daniel R. Coats, nel 2019 Worldwide Threat Assessment, il rapporto di valutazione delle minacce mondiali, da lui presentato al comitato ristretto che si occupa di intelligence nel Senato Usa.

Il rapporto proseguiva sostenendo che la Cina e la Russia stavano “espandendo la reciproca cooperazione anche attraverso organismi internazionali, per modellare regole e standard globali a loro vantaggio e costituire un contrappeso agli Stati Uniti ed agli altri paesi occidentali”.

Una linea alternativa: Russia e Cina si scontreranno

Questa impostazione sembra però da qualche tempo aver trovato un’autorevole alternativa soprattutto a seguito delle posizioni assunte dall’ex-segretario di Stato di Trump, Jim Mattis, un generale con un brillante passato nelle più importanti posizioni di comando (dalla Nato allo United States Joint Forces Command), che poi, in polemica con il presidente, quando questi ha annunciato la sua intenzione di ritirare le truppe Usa dal pantano siriano, ha dato le dimissioni, divenute effettive dal primo gennaio di quest’anno.

Secondo Mattis, Cina e Russia hanno in realtà una “naturale non-convergenza di interessi” nonostante il fatto che entrambi i paesi abbiano definito la loro relazione come un “partenariato strategico globale”. Mattis, in occasione del Shangri-La Dialogue di Singapore, lo scorso anno, si è spinto addirittura a sostenere che a suo avviso, nel lungo periodo, “la Cina ha più interessi in comune con le nazioni dell’Oceano Pacifico e con gli Stati Uniti e l’India di quanto non ne abbia con la Russia”.

Questa impostazione, che ha al suo attivo ottimi precedenti storici, almeno per quanto riguarda l’età moderna, sembra effettivamente trovare alcune significative conferme anche presso gli interessati.

Dubbi russo-cinesi

Shi Ze, un ex-diplomatico cinese a Mosca, senior fellow presso il China Institute of International Studies, un think tank emanazione del ministero degli esteri cinese, ha osservato che “Cina e Russia hanno atteggiamenti diversi: la Russia vuole rompere l’attuale sistema internazionale in quanto pensa di esserne vittima, dato che in esso la sua economia e la sua società non si sviluppano; la Cina invece beneficia di questo sistema, che vuole quindi migliorare e modificare, non distruggere“.

Lo studioso russo Dmitrij Zhelobov ha recentemente suggerito di non fare troppo affidamento sulla solidità ell’alleanza russo-cinese, sottolineando che la Cina sta gradualmente stabilendo basi militari in Asia centrale per assicurarsi che né la Russia né gli Stati Uniti siano in grado di interrompere le vie principali del commercio cinese con il Medio Oriente e l’Europa, che passano per il cuore dell’Eurasia. Le stesse aspirazioni a raggiungere l’Oceano Atlantico attraverso una “via della seta” settentrionale, fino alla Groenlandia, non può tranquillizzare la Russia, di cui quell’area rappresenta la più estesa frontiera settentrionale, di incommensurabile valore strategico.

Anche la collaborazione russo-cinese sul piano militare, secondo alcuni osservatori, potrebbe presentare dei rischi: la Cina punta infatti ad una sempre maggiore autonomia sul piano della tecnologia militare, come sembra confermato dalla sempre minor dipendenza da quella russa, e da importanti risultati raggiunti dall’industria bellica cinese, come il lancio, nel 2017, della quinta generazione del caccia J-20 Chengdu, ritenuto tecnologicamente superiore al SU-57E russo.

Per parte sua, la Russia sembra consapevole della delicatezza della situazione in Asia centrale, firmando lo scorso marzo un accordo con il Kirghizistan per ampliare di ben sessanta ettari la base aerea di Kant, collocata a venti chilometri ad est della capitale Bishkek, e dimostrandosi pronta anche ad impegnarsi finanziariamente, non solo aumentando l’affitto che la Russia paga per l’utilizzo di questa base da parte delle proprie forze aeree, ma anche siglando accordi economici per sei miliardi di dollari in campo energetico, minerario, agricolo e industriale.

La potenziale rivalità in Asia centrale oggi viene alimentata anche dalle questioni ambientali, per esempio la costruzione di un impianto cinese di imbottigliamento dell’acqua sul Lago Baikal o i timori che la crescente presenza cinese lungo l’Amur ed in Siberia mettano a repentaglio gli equilibri ecologici di queste regioni che rappresentano immense riserve di risorse naturali: forestali, idrografiche, della biodiversità animale e vegetale.

Mackinder e/o Mahan

Gli strategists americani, educati alla scuola di Mackinder e Mahan fanno certamente i loro conti, da una parte, con una possibile competizione russo-cinese per lo Hearthland, quell’area centro-asiatica il cui controllo, a parere dello studioso britannico, costituiva la chiave del potere mondiale; ma sull’altro piatto della bilancia c’è la crescente capacità navale cinese, che, rileggendo Mahan, potrebbe rivelarsi altrettanto pericolosa di quella del Giappone negli anni Trenta e Quaranta.

Gli echi di queste analisi, e soprattutto di questi timori, arrivano fino a lambire l’Italia, ogni volta che si levano dai nostri governi flebili voci di apertura alla Russia ed alla Cina. Queste analisi, tuttavia, dovrebbero a riflessioni attente e ben documentate, perché i rapporti fra Russia e Cina, assai prima che gli Usa, dovrebbero interessare l’Europa, che sembra invece intenzionata, come al solito, semplicemente ad allinearsi alle paure ed agli ostracismi statunitensi.

Sarebbe invece il momento di cominciare a valutare di quale di queste due potenze abbia più bisogno oggi l’Europa; a quale fra queste potenze sia più congeniale spiritualmente l’Europa; e quale potrebbe essere per l’Europa il partner economico più equilibratamente complementare. Analisi di questo genere non sarebbero del tutto campate in aria, soprattutto se fra Russia e Cina i rapporti dovessero iniziare a logorarsi, magari grazie ad un’abile politica nordamericana che alimenti i loro potenziali contrasti.

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