Nasce il movimento fascista – Milano, 23 marzo 1919

Fin dai primi giorni del gennaio 1919, il Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini, manifestava la necessità di dar vita ad un movimento che raccogliesse l’interventismo capace di attuare quei cambiamenti che la Grande Guerra rendeva indispensabili nel Paese, senza assumere le forme dei partiti tradizionali, richiamandosi in questo all’esperienza del Fascio di azione rivoluzionaria interventista che Mussolini aveva costituito a Milano con Alceste De Ambris nel dicembre 1914, quando il suo distacco dal partito socialista si era ormai pienamente consumato.

Un movimento contro i partiti

Il 2 marzo veniva quindi data comunicazione sullo stesso giornale dell’adunanza programmata per il successivo 23 marzo, alla quale venivano invitati gli uomini dei «Fasci della “Nuova Italia“ e del resto della Nazione». Il 9 poi si precisava l’orientamento del costituendo movimento:

«Il 23 marzo sarà creato l’antipartito, sorgeranno cioè i Fasci di Combattimento, che faranno fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra. Sarà fissato un programma di pochi punti ma precisi e radicali».

Il 18 marzo, Mussolini firmava un articolo dedicato alla nuova iniziativa, nel quale fra l’altro precisava:

«Noi vogliamo l’elevazione materiale e spirituale dei cittadini italiani (non soltanto di quelli che si chiamano proletari…) e la grandezza del nostro popolo nel mondo. Quanto ai mezzi, noi non abbiamo pregiudiziali: accettiamo quelli che si renderanno necessari: i legali ed i cosiddetti illegali. Si apre nella storia un periodo che potrebbe definirsi della «politica» delle masse o dell’ipertrofia democratica. Non possiamo metterci di traverso a questo moto. Dobbiamo indirizzarlo verso la democrazia politica e verso la democrazia economica. La prima può ricondurre le masse verso lo Stato, la seconda può conciliare, sul terreno comune del maximum di produzione, capitale e lavoro. Da questo travaglio usciranno nuovi valori e nuove gerarchie».

Quando scrive, Mussolini sta seguendo un’esperienza sindacale in corso proprio in quelle ore, lo sciopero «produttivo» (vale a dire senza interruzioni della produzione) organizzato dall’Unione Italiana del Lavoro alla Franchi-Gregorini di Dalmine, un’azienda con circa duemila dipendenti: i lavoratori, che avevano occupato la fabbrica, erano stati fatti sgombrare dall’esercito, ma Il Popolo d’Italia aveva sostenuto questa protesta («un fatto nuovo nel movimento operaio»), e lo stesso Mussolini il 20 si era recato dagli scioperanti, tenendo un discorso che sottolineava l’importanza a suo avviso della modalità adottata dalle maestranze: «Voi, vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici».

L’adunanza di Piazza San Sepolcro

Il 21 marzo, in preparazione della riunione programmata, si costituiva il Fascio milanese di combattimento, nella cui giunta esecutiva sedevano tre socialisti (Mussolini, Ferrari, Ferradini), due sindacalisti (Bianchi, Giampaoli), due arditi (Vecchi, Meraviglia).

Domenica 23 marzo, infine, alle ore 10, in Piazza San Sepolcro, al numero 9, primo piano, si tiene la riunione, nella sala del Circolo dell’Alleanza industriale e commerciale, sede gestita da un attivo interventista, Cesare Goldmann, utilizzata durante gli anni delle guerra in particolare dalle organizzazioni patriottiche, ma aperta a chiunque ne facesse richiesta.

Secondo alcune fonti, prendono parte fisicamente all’incontro, oltre la giunta sopra ricordata, 119 persone; ma erano pervenute diverse adesioni, probabilmente non più di cinquecento in totale. Maggiormente rappresentati erano gli interventisti rivoluzionari, gli ex-combattenti, arditi soprattutto, ed i futuristi, con la presenza dello stesso Marinetti.

Mussolini parla, dopo gli interventi di apertura di Vecchi e Ferrari. Rivolge un omaggio ai caduti della Grande Guerra e dichiara che l’esperienza della guerra ha reso l’Italia più grande «inquantoché noi l’abbiamo voluta, non ci è stata imposta» e, tra i risultati positivi di essa, menziona il fatto che «in nessuna nazione vittoriosa si vede il trionfo della reazione. In tutte si marcia verso la più grande democrazia politica ed economica».

Ricorda gli imperialismi occidentali (l’Inghilterra con 47 milioni i abitanti ha un impero di 55 milioni di chilometri quadrati, la Francia con 38 milioni di abitanti domina 15 milioni di chilometri quadrati) e si augura che la Società delle Nazioni non si dimostri una maniera «delle nazioni ricche contro le nazioni proletarie per fissare ed eternare quelle che possono essere le condizioni attuali nell’equilibrio mondiale». Termina questo primo intervento preannunciando nelle prossime elezioni il sabotaggio da parte fascista dei candidati neutralisti.

Il programma dei Fasci di Combattimento

Dopo gli interventi di Marinetti e Carli, nel pomeriggio la riunione riprende con un comunicato a favore della protesta dei lavoratori di Dalmine. Mussolini riprende la parola per illustrare il programma del movimento: prende posizione netta contro il socialismo «non perché socialista, ma perché è stato contrario alla nazione» e perché egli intende «scindere il partito socialista ufficiale dal proletariato», precisando che «se la borghesia crede di trovare in noi dei parafulmini, si inganna». Aggiunge che «per quello che riguarda la democrazia economica, noi ci mettiamo sul piano del sindacalismo nazionale e contro l’ingerenza dello Stato quando questo voglia assassinare il processo di creazione della ricchezza».

A questa impostazione consegue il programma: abolizione del Senato, suffragio universale esteso anche alle donne, costituzione di un’assemblea nazionale costituente, rappresentanza diretta degli interessi economico-professionali, partecipazione dei lavoratori alla gestione tecnica delle imprese, giornata di otto ore, assicurazione di invalidità e vecchiaia con abbassamento da 65 a 55 anni di età, istituzione di una Milizia nazionale, imposta straordinaria sul capitale come espropriazione parziale progressiva delle ricchezze, sequestro dei beni delle Congregazioni religiose e abolizione delle Mense vescovili. Un programma, come noto, marcatamente “di sinistra”, che avrebbe suscitato qualche perplessità anche fra alcuni degli intervenuti.

Mussolini, nell’avviarsi alla conclusione del suo discorso, fa anche una precisazione importante, interessante anch’essa dal punto di vista storico. Attaccando il bolscevismo come regime che non abolisce le classi ma instaura una «dittatura esercitata ferocemente», dichiara:
«Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo la dittatura della volontà e dell’intelligenza».

Questo il punto di partenza di un periodo cruciale della storia dell’Italia contemporanea, sul quale, dopo cento anni, ci si augura che il dibattito continui, quanto più serio, spassionato e documentato che mai.

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