La rivoluzione irlandese alla prova dei Quattordici Punti, 21 gennaio 1919

“L’Irlanda, risolutamente e irrevocabilmente determinata a non subire più il dominio straniero, all’alba dell’era promessa di auto-determinazione e libertà, invita ogni nazione libera a sostenere la sua rivendicazione nazionale di completa indipendenza come Repubblica Irlandese contro le pretese arroganti dell’Inghilterra, fondate sulla frode e sostenute solo da una schiacciante occupazione militare, e chiede un pubblico confronto con l’Inghilterra al Congresso delle Nazioni, in modo che il mondo civile, verificato il torto inglese ed il diritto irlandese, possa garantire all’Irlanda il suo sostegno permanente al mantenimento della sua indipendenza nazionale”.

Proclamata l’indipendenza irlandese

Il 21 gennaio 1919, è con questo orgoglioso messaggio che si rivolge, dalla Round Room della Mansion House di Dublino, alle Nazioni convenute al Congresso di Parigi, il Dáil Éireann, il primo parlamento irlandese, che ha appena dichiarato solennemente l’Indipendenza dell’Irlanda: dei suoi 105 membri teorici, sono presenti solo poco più di una ventina, e ben 23 sono detenuti o latitanti, a seguito della sanguinosa insurrezione della Pasqua del 1916.

Troppo a lungo la Gran Bretagna ha rimandato l’approvazione di un provvedimento che riconosca quanto meno l’autonomia delle contee cattoliche irlandesi: la Grande Guerra è scoppiata da ultimo proprio mentre nel parlamento inglese era in corso un durissimo scontro su questa questione. Moltissimi irlandesi erano accorsi al fronte per dimostrare le propria lealtà alla causa britannica, senza ottenere alcun tipo di riconoscimento: questo, fra l’altro, aveva provocato l’insurrezione del 1916 e la conseguente spietata repressione britannica.

Il 14 dicembre 1918, le elezioni inglesi avevano dimostrato il successo del partito indipendentista Sinn Fein (“Noi Soli”), che aveva ottenuto ben 73 dei 105 seggi irlandesi: per cui era stato naturale per gli indipendentisti decidere di non sedere più a Wstminster, ma di creare un proprio organismo democratico-parlamentare autonomo. Del resto, proprio l’apertura della Conferenza di Parigi, alimentava le speranze di successo, applicando il principio dell’auto-determinazione contenuto nei Quattordici Punti di Wilson. Speranze rafforzate dalla presenza di una forte ed autorevole comunità irlandese proprio negli Usa, oltre al fatto che gli avi parterni di Woodrow Wilson nel 1807 erano emigrati negli States da Strabane, Contea di Tyrone, in Irlanda (oggi nell’Irlanda del Nord).

Wilson e gli irlandesi alla Conferenza di Parigi

La delegazione irlandese, guidata da Seán T. O’Kelly presidente del Dáil, giunse l’8 febbraio 1919 a Parigi, latrice del messaggio di cui abbiamo appena citato un passo: ma il presidente Wilson si rifiutò di ammettere gli irlandesi alla Conferenza. Nel marzo 1919, tuttavia, il Congresso e poi il Senato degli Stati Uniti approvarono una mozione a sostegno dell’indipendenza irlandese, per cui il presidente si vide costretto ad autorizzare una American Commission on Irish Independence, guidata da Frank P. Walsh, a recarsi a Parigi, ove giunse l’11 aprile, per svolgere una serie di colloqui esplorativi con gli irlandesi, con Wilson stesso e con Lloyd George. Anche in questa occasione, Wilson espresse la chiara volontà di non affrontare la questione irlandese nel contesto della Conferenza, che si doveva occupare solo della sistemazione territoriale degli sconfitti.

Così, la Commissione fu inviata in Irlanda, dove giunse il 3 maggio: nel corso dei colloqui con vari esponenti indipendentisti, i membri della Commissione confermarono il loro intento di “assicurare il riconoscimento della Repubblica d’Irlanda alla Conferenza di Pace”, una posizione che Wilson non parve gradire molto, nel timore di alienarsi l’alleato britannico, al loro ritorno a Parigi. Wilson strigliò Walsh e gli altri, accusandoli di avere rovinato tutto (kicked over the apple cart) coi loro discorsi pubblici. Fu ben chiaro quindi da quel momento che la questione irlandese non sarebbe stata più trattata alla Conferenza di Parigi.

La delusione dei numerosi sostenitori americani della causa irlandese avrebbe pesato non poco nei successivi insuccessi elettorali di Wilson e dei democratici americani, contribuendo alla mancata approvazione da parte del Congresso americano della stessa idea della Società delle Nazioni.

Ben più gravemente, Éamon de Valera, uno dei più importanti protagonisti di questa tragica stagione, era stato facile profeta in marzo, quando aveva detto agli Inglesi: “Se la Conferenza di Parigi non riuscirà a estendere l’autodeterminazione all’Irlanda, la violenza sarà l’unica alternativa rimasta ai patrioti irlandesi”.

Non si deve dimenticare infatti che, nello stesso 21 gennaio 1919, storico giorno della solenne proclamazione dell’indipendenza della Repubblica d’Irlanda, due militi della Royal Irish Constabulary (RIC), le forze di polizia reclutate fra i protestanti irlandesi anti-cattolici, erano stati uccisi in un’imboscata da militanti armati indipendentisti a Soloheadberg, aprendo così una lunghissima stagione di violenza che avrebbe insanguinato ancora per decenni la tormentata isola.

Gli indipendentisti irlandesi, D’Annunzio e Mussolini

Dopo il funesto insuccesso a Parigi, nel 1920 O’Kelly si sarebbe recato in Italia, per parlare con il Papa ed ottenere il sostegno della Chiesa cattolica alla causa irlandese, ma anche per cercare un contatto con Gabriele D’Annunzio, la cui impresa di Fiume, iniziata nel settembre 1919, si poneva esplicitamente in contrapposizione all’imperialismo inglese, affermando il sostegno ai popoli oppressi, tra i quali gli stessi Irlandesi.

Una trama di relazioni piuttosto complessa, portò, secondo alcune ricostruzioni, gli inviati irlandesi fino a Benito Mussolini, il quale avrebbe messo un emissario irlandese in contatto con il Ministero della Guerra italiano a Roma, dove il 21 novembre 1920 si sarebbe svolto un incontro, a quanto pare assai proficuo per la causa irlandese: un alto ufficiale ed un civile (da taluni identificato addirittura in Ivanoe Bonomi) avrebbero asssicurato la fornitura di ben 20mila fucili, 500 mitragliatrici e cinque milioni di cartucce agli indipendentisti irlandesi.

La Conferenza di Parigi aveva quindi dimostrato una volta di più che il tema dell’auto-determinazione dei popoli, proclamata nei Quattordici Punti come punta di diamante della propaganda bellica alleata, fosse un puro instrumentum regni per dominare in Europa, con conseguenze ben note e davvero terribili per la storia del nostro continente.

Print Friendly, PDF & Email