Apre la Conferenza di Parigi, 18 gennaio 1919

La guerra mondiale si è appena conclusa con la vittoria alleata. Una vittoria di misura, resa possibile dal supporto, economico-finanziario più che militare, degli Usa, poiché in realtà le forze tedesche non sono mai state militarmente sconfitte: è stato il crollo interno, economico e politico, del paese a determinare la sconfitta della Germania.
La guerra, in totale, ha mobilitato oltre 70 milioni di soldati, dei quali oltre 9 milioni sono caduti, con un rateo medio di 11 caduti ogni 100 mobilitati. Le stime delle vittime civili differiscono molto fra gli storici, tanto più che ad esse si devono sommare i milioni di morti dell’epidemia “spagnola” che stava infuriando in quelle settimane in tutto il mondo, provocando forse da sola venti milioni di vittime.

Una differenza rilevante è tuttavia che Francia e Gran Bretagna hanno potuto contare sull’apporto insostituibile dei loro imperi coloniali, che nel caso inglese hanno fornito addirittura il 30% dei soldati e quasi il 20 per cento dei caduti: un alto prezzo, di cui il cosiddetto Terzo Mondo comincerà a chiedere conto proprio nel corso del 1919, per poi trovare sbocco finale nella decolonizzazione della seconda metà del XIX secolo, dopo un secondo conflitto mondiale.

La Conferenza di Parigi si apre la mattina del 18 gennaio 1919, nella Salle de l’Horloge al Quai d’Orsay, a Parigi. Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti d’America e Giappone agiscono come “principali potenze alleate e associate”, e per questo saranno loro a formare il Consiglio dei Dieci, nel quale siedono i primi ministri (il presidente Wilson, nel caso degli Usa), e i rispettivi ministri degli esteri. Belgio, Bolivia, Brasile, Costarica, Cecoslovacchia, Cina, Cuba, Ecuador, Grecia, Guatemala, Haiti, Hegiaz, Honduras, Liberia, Nicaragua, Panama, Perù, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Stato Serbo-Croato-Sloveno, Siam e Uruguay, potenze alleate e associate, saranno per lo più presenti come comprimarie, sebbene ad esempio Serbia, Belgio e Romania abbiano riportato distruzioni e vittime ben superiori a quelle del Giappone. La Germania non è presente, così come  Bulgaria, Austria ed Impero ottomano: nazioni alle quali le condizioni di pace saranno semplicemente dettate, dopo essere state predisposte dai vincitori.

Altra esemplare assenza è quella della Russia, travolta nel 1917 dalla rivoluzione: dopo l’avvento del bolscevismo, essa ha concluso con gli Imperi centrali una pace rovinosa, nel marzo 1918, a Brest Litovsk, con la quale ha perso un terzo del proprio territorio e forse metà del proprio potenziale industriale. L’Ucraina, staccatasi allora dalla Russia, cercherà invano di essere riconosciuta dagli Alleati a Parigi come nazione indipendente: anche in questo caso, ci vorrà un’altra guerra mondiale e oltre settant’anni di comunismo prima di sganciarsi dalla Russia, per essere oggi invece corteggiata dalla Nato, contro la rinata potenza russa di Putin.

Nonostante questi rifiuti e queste assenze, ci si affretta a disegnare la Società delle Nazioni, in omaggio a Wilson, personalmente detestato dai grandi anglo-francesi (e italiani…), ma troppo utile nel fornire, coi suoi Quattordici Punti, lo schermo ideologico necessario ad affondare definitivamente le potenze centrali sconfitte, da una parte; e, dall’altra, a contrastare il dilagare della minaccia bolscevica. Nel giro di una settimana, infatti, la Conferenza di Parigi avrebbe nominato la commissione che doveva elaborare l’atto costitutivo della Società, destinata a naufragare miseramente davanti allo stesso Congresso americano e poi con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, che non sarebbe riuscita ad evitare.

Tuttavia, un elemento è evidente: con la Conferenza di Parigi si rovesciava la politica statunitense, fino a quel momento aliena dall’impantanarsi in un’Europa considerata retriva e liberticida. È proprio dal gennaio 1919, infatti, che gli Stati Uniti d’America hanno dovuto iniziare ad occuparsi della politica europea, ed hanno dovuto farlo sulla scia di quell’interventismo democratico wilsoniano che li ha trasformati nella potenza egemone dell’Occidente e quindi nella superpotenza mondiale che tuttora conosciamo.

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