Gilet gialli, questione sociale, democrazia

La proletarizzazione della borghesia europea apre un nuovo capitolo della questione sociale, irrisolta dai tempi del trionfo della democrazia borghese. Le proteste di questi giorni in Francia, così come il “populismo” italiano richiedono una sempre maggiore consapevolezza della vera posta in gioco in Europa.

La questione sociale, ferita aperta nella storia della borghesia

Sono centosettant’anni che la borghesia europea è arrivata al potere, attraverso le cosiddette rivoluzioni democratiche del 1848. La sua presa di potere coincideva in maniera puntuale con il manifestarsi della questione sociale (basti pensare al Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx, dello stesso anno). Ma la borghesia europea non riuscì a dare una risposta adeguata alla questione sociale: non fu capace allora di trovare non solo le necessarie risposte politiche, ma soprattutto quelle ideali, che avrebbero potuto motivare la partecipazione del proletariato alla direzione dello Stato nazionalitario borghese.

Settant’anni dopo il ‘48, nel 1918, la caduta degli Imperi Centrali e la diffusione dei movimenti bolscevichi in Europa dopo la rivoluzione russa determinarono la grande paura del comunismo, che, in varie forme, compattò la borghesia europea fino almeno al 1989, quando il comunismo sovietico implose inaspettatamente.

Nel frattempo, aveva trionfato in Occidente un modello ideologico e politico che ha saputo porre sotto controllo la questione sociale, mediante il progessivo assorbimento del proletariato, sia dal punto di vista economico-sociale che ideologico, in un modello politico, sociale ed esistenziale incarnatosi nel way of life americano. Questo modello ha rapidamente prodotto un processo di borghesizzazione dello stesso proletariato, che ha finito per condividerne i valori: un fenomeno che si è affermato con grande successo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale, in primo luogo nelle società industriali avanzate dell’Occidente euro-atlantico.

Il problema degli ultimi trent’anni, tuttavia, è che se il proletariato è in tal modo di fatto scomparso come ceto e come modo di vivere, per cui esso è divenuto indistinguibile nelle nostre società, la borghesia, soprattutto quella medio-piccola, si è sempre di più proletarizzata.

Pressione fiscale, precarietà del posto di lavoro, svalutazione del ruolo delle professioni e dei piccoli funzionari, assorbimento del commercio nei meccanismi della grande distribuzione, perdita del potere d’acquisto, erosione del risparmio a seguito delle grandi crisi finanziarie del 1987 e del 2007, disgregazione della famiglia, perdita dell’identità comunitaria a causa della denazionalizzazione degli Stati e dei flussi migratorii, svalutazione della “morale borghese” a tutti i livelli: tutti questi fenomeni hanno fatto della classe media occidentale, maggioritaria sul piano numerico, un nuovo proletariato – nonostante l’accesso alla proprietà e la presenza di un ampio insieme di diritti formali, un tempo obiettivi primari della rivoluzione borghese del ‘48.

Parallelamente, la crescita abnorme del potere dei grandi centri finanziari mondializzati, che sfuggono al controllo dello Stato e della democrazia parlamentare, hanno progressivamente demolito in questo ceto la fiducia nei partiti e nei sistemi elettorali, come dimostra la riduzione della partecipazione al voto in tutti i Paesi.

Si è così creata, al lato della politica dei partiti, un’affannosa domanda di nuovi sistemi di partecipazione e di espressione delle esigenze e delle volontà popolari, che non trova spazio nella politica tradizionale.

Le proteste in Francia e l’esigenza di una nuova azione sociale

Se leggete le poche indagini sociologiche e soprattutto se ascoltate le tante interviste sparse sulla rete, i gilets jaunes francesi sono appunto questi borghesi proletarizzati, che vivono una vita socialmente insicura, non credono più nella democrazia dei partiti, si sentono oppressi dalle banche e dal fisco, che vedono come una medesima longa manus delle grandi concentrazioni di interessi economici, sottratte a qualsiasi possibilità di effettivo controllo popolare.

Una vita sempre più individualizzata, famiglie sempre più disgregate, attività lavorative sempre più anonime e demotivanti, stipendi sempre più vicini al limiti della sopravvivenza, piccole imprese sempre più penalizzate, paure crescenti legate alle grandi emergenze (clima, ambiente, immigrazione), assenza di risposte alle domande fondamentali della vita: è tutto questo che spinge alla protesta, e fa sognare la rivolta.

Potremmo quindi dire che, ironia della storia, è proprio la questione sociale, irrisolta dal momento del trionfo della borghesia, che presenta oggi il conto al suo sistema politico, proprio perché oggi la borghesia vede dissolta la sua identità di classe, in quanto è divenuta uno strato assai articolato e multiforme, dominato dalla paura e dall’assenza di grandi idealità. Diciamo che è la questione sociale irrisolta il nocciolo del problema, in quanto il capitalismo per sua natura è all’origine di quell’intreccio patologico fra sistema politico, interessi economico-finanziari e libera espressione delle capacità individuali, che determina la crisi individuale e collettiva.

La democrazia dei partiti ha accentuato questa patologia, proprio mentre le forze dell’alta finanza mondiale hanno, in modo sempre più anonimo ed omnipervasivo, acquistato il potere di condizionare qualsiasi forza espressa dalle società moderne: la politica, il denaro, l’informazione – sono solo i punti più evidenti di come il suo potere penetra nell’esistenza individuale della borghesia proletarizzata.

A questo punto, per i gilets jaunes come per gli altri movimenti e fenomeni populisti in Europa e nel mondo, la questione è prima di tutto un problema di consapevolezza: consapevolezza, intendiamo, delle vere dimensioni, delle coordinate della questione sociale odierna. Tale consapevolezza non investe solo il presente, ma richiede una visione storica, se vogliamo davvero comprendere i meccanismi attraverso i quali il capitalismo occidentale ha progressivamente asservito tutti gli aspetti di una società, trasformando la sua logica di profitto in uno strumento di potere mondiale.

La consapevolezza dell’ampiezza della questione dovrebbe spingere ad una ben diversa impostazione dell’azione sociale, se si vogliono evitare le strumentalizzazioni che in questo momento storico possono trovare più di uno sponsor, in quanto l’Europa, nonostante la sua intrinseca debolezza, rimane oggi più che mai l’ago della bilancia del futuro mondiale: in base alla direzione in cui essa si muoverà potremo assistere a catastrofi, paragonabili se non superiori a quelle del XX secolo, oppure potranno emergere forze rinnovatrici.

Print Friendly, PDF & Email