Non c’è due senza tre: la continuità della politica Usa nel Medio Oriente

Con l’attacco statunitense alla base aerea siriana di Sharyat, qualsiasi speranza o timore che la politica estera americana potesse cambiare con Trump è stata cancellata, allo stesso modo di quanto accaduto con Barak Obama rispetto ai suoi predecessori.
Sono oramai diversi anni che abbiamo documentato in Medio Oriente senza pace come la politica americana nel Medio Oriente allargato conservi una linea di continuità assoluta e come essa sia in realtà dettata da centri di potere misti israelo-americani che hanno assunto il pieno controllo delle decisioni presidenziali in quest’area: uno studio appena meno che superficiale degli uomini messi anche da Trump nei posti chiave della sua amministrazione dimostra che anche nel suo caso sono gli interessi dello Stato ebraico che dettano la linea.
Ma vi è di più: quello che ancora una volta da diversi anni abbiamo scritto, il timore cioè che il conflitto Medio Orientale possa diventare occasione per un più vasto scontro decisivo per le strategie mondiali nordamericane e israeliane, si sta dimostrando un rischio sempre più concreto.
La Russia ha deciso di correre il grosso rischio di inserirsi nella micidiale trappola medio-orientale probabilmente dopo essere giunta alla conclusione che l’Occidente atlantico, come avvenuto in Ucraina, intendeva ridurre il Paese slavo a un’entità di secondo ordine, spingendolo nelle braccia di una Cina in realtà prontissima, per ragioni geopolitiche ed economiche, a trovare in qualsiasi momento un accordo con gli Stati Uniti d’America.
Non è da sottovalutare infatti la circostanze che l’attacco contro la Siria, da sempre storico alleato protetto da Mosca, accada proprio quando il presidente della Repubblica Popolare Cinese è ospite personale dello stesso Trump: se consideriamo che Russia e Cina si sono costantemente ravvicinate nel corso dell’ultimo decennio, il messaggio appare di una chiarezza e di una brutalità davvero impressionanti.
Se infatti può essere inteso come un ammonimento anche alla Corea del Nord e più in generale riferibile anche alla situazione asiatica, a nostro avviso contiene l’esplicito invito alla Cina ad isolare la Russia, cosa che metterebbe quest’ultimo paese nella condizione di trovarsi fra due fuochi che rappresentò l’incubo strategico della Germania alla vigilia di entrambi le guerre mondiali.
Infine, è l’Iran, travagliato da non secondarie tensioni interne, il terzo destinatario di questo messaggio di guerra: così come gli Usa hanno mostrato ora i muscoli, è sempre più probabile che la convergenza strategica di interessi nordamericani, israeliani e sauditi possa far scattare qualche azione decisiva anche nei confronti dell’Iran.
Certo, solo i prossimi mesi ci potranno dire quanto quest’azione militare complicherà la situazione mediorientale e aggraverà più in generale gli squilibri internazionali.
Un fatto solo è ormai certo ed acclarato, e chi ancora intende negarlo deve assumersi la responsabilità di mentire sapendo di mentire: l’eliminazione dei tre regimi nazionalisti arabi in Iraq, Libia e Siria è stato il vero obiettivo dell’interventismo occidentale in Medio Oriente – nulla a che vedere con la lotta all’islamismo radicale, che anzi beneficia anche in questa occasione dell’ennesimo impiego del big stick americano.
Della scomparsa violenta di queste tre entità statali laiche, socialiste e multietniche, pur con tutti i loro ovvii difetti, il solo beneficiario finale è lo Stato di Israele: il fatto che l’Europa faccia finta di non accorgersene, o se ne compiaccia, è una delle più gravi responsabilità che nella storia futura porteranno le nostre classi dirigenti.
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