Europa tra Cina e Stati Uniti: una prospettiva

Pubblichiamo il testo dell’intervista di Nicola Cesarini dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, con Mercy Kuo, autrice del libro The Rebalance, pubblicata lo scorso 25 ottobre sulla rivista on line The Diplomat, specializzata nelle questioni che riguardano il mondo asiatico.
L’intervista risulta particolarmente interessante da diversi punti di vista: in primo luogo mostra uno degli aspetti meno evidenziati della Brexit, vale a dire quello della capacità di una Gran Bretagna fuori dalla UE di svolgere un ruolo catalizzatore per gli investimenti finanziari cinesi, aspetto questo che da solo compenserebbe molti dei potenziali svantaggi dell’uscita del Regno Unito dall’Unione; mette poi in rilievo la fondamentale partita che si sta giocando a livello mondiale sui grandi accordi commerciali internazionali (TTP e TTIP), fondamentali per la vitale esigenza degli Stati Uniti d’America di mantenere la propria egemonia economica e culturale; infine evidenzia la situazione di obiettiva difficoltà di un’Europa la cui economia, minacciata dalla crisi economica e dall’emergenza rifugiati, diventa fattore di disgregazione e non più come in passato di rafforzamento politico.
In conclusione riteniamo che venga alla luce uno degli elementi più importanti per il futuro assetto mondiale, ovvero quello della scelta che presto o tardi gli Stati Uniti dovranno fare tra mantenere il rapporto privilegiato transatlantico con l’Europa, sviluppatosi a partire dalla I Guerra Mondiale, ovvero se riconsiderare la loro iniziale priorità imperiale, quella rivolta al Pacifico, nella quale una cooperazione con la Cina ha sempre rappresentato, come all’epoca di Franklin Delano Roosevelt, una possibile opzione strategica.
Buona lettura.
 

D. Qual è l’impatto della Brexit sulle relazioni Cina – Unione Europea?

R. La Brexit ha avviato una competizione fra gli Stati membri della Ue per sostituirsi a Londra come “porta d’ingresso” degli investimenti cinesi in Europa. Il Vecchio Continente è diventato chiaramente la destinazione prediletta dagli investitori cinesi, con il Regno Unito quale destinatario della quota maggiore di essi. Secondo China Global Investment Tracker, tra il 2005 ed il 2016, la Cina ha investito circa 164 miliardi di dollari in Europa (compresi i Paesi non UE). Nello stesso arco di tempo, la Cina ha investito 103 miliardi di dollari negli USA.
Per facilitare gli investimenti a bassi costi di transazione da parte della Cina, i governi e le banche centrali europee stanno lavorando attivamente per fare del renminbi [la valuta cinese] una valuta di riserva accettata. Anche in questo caso, la Gran Bretagna è in posizione privilegiata. Dopo la Brexit, stiamo assistendo ad una gara da parte dei centri finanziari occidentali (Francoforte, Parigi, Amsterdam e Milano) per intercettare una parte degli scambi e dei servizi gestiti attualmente dalla City di Londra, una tendenza che inoltre contribuisce alla ri-nazionalizzazione delle relazioni fra Unione Europea e Cina.

D. Nel suo recente messaggio sullo "Stato dell’Unione Europea", il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha fatto richiesta di più robusti "strumenti di difesa commerciale" nei confronti delle esportazioni di acciaio cinese. Quali sono le possibili conseguenze di questa posizione?

R. Facendo seguito proprio al messaggio sullo “Stato dell’Unione”, l’Unione Europea ha imposto tariffe maggiori sull’acciaio cinese, salite in tal modo al 73,3 per cento sulle lamiere d’acciaio pesante ed al 22,6 per cento sull’acciaio laminato a caldo. Il ministro del commercio cinese ha immediatamente condannato questi provvedimenti, definendoli “uno sconsiderato protezionismo commerciale” e implicitamente accusando gli Europei di utilizzare la Cina come capro espiatorio, per evitare le riforme della loro industria e dei loro mercati.
Strumenti più robusti di difesa commerciale servono per placare le preoccupazioni di quegli Stati membri della UE, come Italia, Francia e Spagna, che percepiscono la pressione della competitività cinese in modo più acuto. D’altra parte c’è il rischio di una ritorsione da parte cinese, che potrebbe essere diretta ai beni di lusso, alla moda, ai prodotti alimentari, allo scopo di danneggiare i paesi Ue più protezionisti. Ciò potrebbe controbilanciare parte dei guadagni dell’industria dell’acciaio, sollevando la questione di quali settori debbano essere difesi o promossi sul mercato cinese.

D. Con una Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) tra Stati Uniti ed Unione Europea oggi vacillante, l’Unione Europea ed il Canada stanno cercando di arrivare ad un accordo sul Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA). Quali sono le differenze e le affinità tra il governo USA e quello canadese nell’indirizzare gli accordi commerciali regionali?

R. La Trans Pacific Partnership (TPP) guidata dagli Stati Uniti intende creare un blocco commerciale nell’area del Pacifico e dell’Asia che escluda la Cina. Il Canada, invece, sembra pronto a prendere in considerazione un accordo di libero commercio (FTA) con Pechino, secondo quanto dichiarato da Justin Trudeau quando per primo ha visitato la Cina a settembre. Delle differenze tra gli Stati Uniti ed il Canada nell’indirizzare gli accodi politica commerciale regionale sono risultati evidenti nei negoziati con l’Europa. Per l’Unione Europea, infatti, è stato più facile negoziare il CETA, anche perché esso non ha la stessa ambizione geopolitica del TTIP ed il Canada ha accettato di includere l’“eccezione culturale” richiesta dagli Europei. Nel CETA, tutto il settore culturale e dei media è ricompreso nella lista dei settori esclusi dall’accordo. Nel TTIP invece la richiesta europea di escludere cultura e media fino ad ora è stata respinta. La disponibilità ad un compromesso sugli accordi commerciali regionali da parte della leadership canadese si pone così in notevole contrasto con l’attitudine più rigida degli Stati Uniti.

D. Il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha messo l’accento su di "un ordine internazionale basato sulle regole" nel suo discorso di luglio al summit euro-cinese. Come farà l’Unione Europea a controbilanciare la crescente influenza globale della Cina rispettando le prescrizioni del diritto internazionale?

R. La UE è probabilmente la più rigorosa sostenitrice delle prescrizioni del diritto internazionale, cosa che la pone in contrasto con la Cina, ma talvolta anche con gli Stati Uniti. Questo fatto è emerso chiaramente a luglio, quando l’Alto Rappresentante ha rilasciato una dichiarazione in nome della UE che ha fatto seguito alla pronuncia nell’arbitrato tra Filippine e Cina, affermando la necessità per le due parti in conflitto di risolvere la vertenza nel rispetto e in accordo con il diritto internazionale, compresa la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto marittimo (UNCLOS). Se la Cina era l’obiettivo principale di questa dichiarazione (benché non vi fosse mai menzionata), non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti per parte loro non hanno mai ratificato l’UNCLOS.
La risposta di Washington all’arbitrato è stata di mandare la marina da guerra Usa nell’area, a l’impegno americano nella difesa dell’attuale status quo nel Mar Cinese meridionale, con la forza ove necessario. Per l’Europa, che è in Asia essenzialmente una soft power [termine inventato dal politologo americano Joseph S. Nye, con il quale si intende una potenza internazionale che utilizza un insieme di strumenti diversi dalla forza militare per affermare la propria influenza, N.d.C.], la maniera migliore per sostenere un ordine internazionale basato sul diritto sarebbe quella di adottare un duplice approccio: da una parte, Bruxelles dovrebbe continuare nella sua relazione con Pechino mediante il dialogo e la cooperazione politica. Dall’altra parte, singoli membri della UE dovrebbero essere autorizzati a prendere parte alle iniziative a guida Usa, come le operazioni in difesa della libertà di navigazione, per rafforzare il messaggio, senza tuttavia dare l’impressione che l’Unione in quanto tale abbia preso una specifica posizione in questo senso. È solo restando neutrale che l’UE sarà in posizione migliore per promuovere il diritto nelle relazioni internazionali.

D. Può individuare le tre priorità nel campo del commercio e della sicurezza nelle relazioni fra Usa e Cina per la prossima amministrazione Usa?

R. Una prima priorità per l’amministrazione Usa è trovare un compromesso con la UE e la Cina per evitare l’emergere di blocchi commerciali in competizione. Questo è un aspetto particolarmente urgente se il Congresso Usa boccerà il TPP e se gli Stati Uniti e la UE fallissero nel trovare un compromesso sul TTIP: a quel punto, la RCEP [Regional Comprehensive Economic Partnership] guidata dalla Cina avrebbe una forte spinta propulsiva, così come progetti di accordi commerciali fra UE e Asia orientale verrebbero risuscitati, accrescendo la prospettiva che un accordo commerciale euro-asiatico escluda gli Stati Uniti.
Una seconda priorità per la prossima amministrazione Usa sarà di evitare uno scontro transatlantico a proposito del riconoscimento alla Cina dello stato di economia di mercato (MES). Washington ha già dichiarato di non garantire l’ambìto MES. L’Unione Europea invece sta lavorando ad un compromesso che comprenderebbe il riconoscimento di Pechino come economia di mercato, rafforzando però al tempo stesso le misure protettive del mercato già in essere, per tutelare alcuni settori considerati in Europa di valore strategico. Il compromesso ha tre obiettivi: evitare ritorsioni da parte di Pechino; aumentare la possibilità di accesso al mercato cinese da parte delle aziende europee; inviare il messaggio che l’Europa è più aperta degli Stati Uniti, qualcosa che attirerà indubbiamente maggiore investimenti cinesi nel vecchio continente.
La terza priorità per la prossima amministrazione Usa è quella di discutere con Cina ed Europa la sicurezza in Eurasia. Gli Stati Uniti si stanno disimpegnando dall’Asia Centrale e dal Medio Oriente, mentre la Cina penetra in queste regioni mediante la sua Belt and Road Initiative*.
L’Europa ha forti legami sul piano della sicurezza con Washington, ma Bruxelles ha anche tentato di sviluppare una propria cooperazione sul piano della sicurezza con Pechino, in particolare nel Mediterraneo e lungo le coste dell’Arabia, data l’importanza dei porti dell’Europea meridionale e del Canale di Suez per la cosiddetta Via marittima della Seta e per le future relazioni commerciali cinesi con l’Europa.

* La Belt and Road Initiative è uno strumento geo-economico dai chiari risvolti politico-militari che la Repubblica Popolare Cinese ha ufficialmente adottato il 28 marzo 2015, per collegare lo sviluppo di una fascia di relazioni economico-politiche lungo il tradizionale itinerario terrestre centro-asiatico dell’antica Via della Seta con una “Via della Seta marittima del XXI secolo” che circumnaviga il continente asiatico a sud in direzione del Golfo Persico, del Mare Mediterraneo e dell’Africa, oltreché dell’Oceano Pacifico.
Secondo fonti cinesi (http://beltandroad.hktdc.com/en/about-the-belt-and-road-initiative/about-the-belt-and-road-initiative.aspx), le direttrici individuate da questa iniziativa sono: (1) collegare Cina ed Europa attraverso l’Asia Centrale e la Russia; (2) collegare la Cina con il Medio Oriente attraverso l’Asia Centrale; (3) connettere Cina e Sud-Est asiatico, Asia del Sud e Oceano Indiano; (4) collegare Cina ed Europea attraverso il Mar Cinese meridionale e l’Oceano Indiano; (5) collegare la Cina con l’Oceano Pacifico Meridionale attraverso il Mar Cinese meridionale.
Come si vede, si tratta di un’ambizioso progetto geopolitico, che è stato accompagnato dalla cosiddetta “strategia del filo di perle” mediante la quale la Cina sta rafforzando con una catena di basi navali e di porti di appoggio la propria proiezione marittima lungo le direttrici definite appunto dalla Via della Seta marittima del XXI secolo.

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