Putin chiede nuove regole nelle relazioni internazionali

È passato quasi inosservato il discorso che il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto lo scorso 24 ottobre in un’assise di studi internazionali.

Pensiamo sia invece interessante conoscere integralmente questo documento che può aiutarci a meglio mettere a fuoco i possibili sviluppi delle relazioni fra mondo euro-atlantico e Russia, soprattutto quando, nel generale disinteresse mediatico, le vittime del conflitto in Ucraina hanno già superato le 4000 unità.
Le critiche che Putin rivolge al sistema egemonico nordamericano sono oggettivamente importanti perché evidenziano la diffusa percezione di un sostanziale fallimento degli anglosassoni nel gestire la crescente complessità del sistema globale di cui, prima con la vittoria nella Seconda Guerra mondiale, poi con quella nella Guerra Fredda, essi hanno pensato di stabilire le regole, utilizzandole a proprio piacimento.
La vibrata richiesta del presidente russo di maggiore considerazione per gli interessi degli Stati, di non-interferenza e non-intervento nei loro affari interni, di rispetto della loro sovranità, di nuove regole più adeguate ad un quadro mondiale in cui emergono nuove forze e nuove realtà regionali – non sembra priva di fondamento.
Ovviamente lasciamo ai lettori le loro valutazioni finali.

Intervento del presidente russo Vladimir Putin alla sessione plenaria dell’XI incontro del Valdai International Discussion Club, Sochi, 24 ottobre 2014.

È stato già detto poco fa che questo club ha quest’anno nuovi co-organizzatori: essi comprendono organizzazioni non governative russe, gruppi di esperti ed università di grande rilievo. È stata anche avanzata l’idea di ampliare la discussione per trattare non solo le questioni relative alla Russia ma anche quelle di politica ed economia globali.
Organizzazione e contenuti potenzieranno l’influenza di questo club quale forum leader nella trattazione e per la competenza su questi temi. Allo stesso tempo, spero che si conserverà lo "spirito di Valdai", questa atmosfera libera ed aperta dov’è possibile esprimere francamente ogni tipo di opinione diversa.
Permettetemi di dire al riguardo che anche io non parlerò in modo edulcorato ma in modo diretto e franco. Qualcosa di quanto dirò potrebbe sembrare un po’ troppo dura ma, se non diciamo direttamente e sinceramente quello che pensiamo, neanche incontri di questo tipo sono rilevanti. Sarebbe meglio in tal caso fare quegli incontri informali dei diplomatici nei quali nessuno dice qualcosa che abbia sostanza e nei quali, per riprendere le parole di un famoso diplomatico, ci si accorge che i diplomatici hanno la lingua proprio per non dire la verità.
Noi ci siamo incontrati per altre ragioni. Ci siamo incontrati per parlare francamente fra di noi. Abbiamo necessità di essere diretti e sinceri non per polemizzare ma per tentare di arrivare al nocciolo di quello che oggi sta accadendo nel mondo, per cercare di comprendere perché il mondo sta diventando meno sicuro e più imprevedibile, e perché i pericoli stanno aumentando intorno a noi.
La discussione di oggi ha per titolo: "Nuove Regole o Gioco senza Regole". Penso che questa formula illustri chiaramente il decisivo momento storico nel quale ci troviamo e la scelta che dinnanzi a tutti noi. Non c’è ovviamente nulla di nuovo nell’idea che il mondo stia cambiando molto rapidamente. So che di questo avete parlato nella discussione odierna. È certamente difficile non accorgersi delle drammatiche trasformazioni nella politica e nell’economia globali, nella vita pubblica, nell’industria, nelle tecnologie informatiche e dei social.
Mi permetto di chiedervi di perdonarmi se in questa mia conclusione sto ripetendo cose che alcuni partecipanti hanno già detto. Ma è praticamente impossibile evitare di farlo. Avete già avuto discussioni approfondite, ma vorrei lo stesso esprimere il mio punto di vista. Concorderò con alcuni punti di vista, con altri no.
Quando analizziamo la situazione odierna, non possiamo dimenticare le lezioni della storia. Prima di tutto, i cambiamenti nell’ordine mondiale (quello che accade oggi è di tale ordine di grandezza) sono di solito accompagnati, se non da guerre e conflitti globali, da catene di conflitti prolungati a livello locale. In secondo luogo, nella politica globale è soprattutto in questione la leadership economica, i temi della guerra e della pace, la dimensione umanitaria, comprendente anche i diritti umani.
Il mondo d’oggi è pieno di contraddizioni. Dobbiamo essere franchi nel chiederci se ci sia ancora un’effettiva rete di sicurezza. Purtroppo, non ci sono garanzie né certezze che l’attuale sistema di sicurezza globale e regionale sia in grado di tutelarci da sommovimenti. Questo sistema è diventato debole, frammentario e distorto. Le organizzazioni internazionali e regionali di carattere politico, economico e culturale stanno anch’esse attraversando momenti difficili.
Sì, molti dei meccanismi di cui disponiamo per garantire un ordine mondiale sono stati creati davvero parecchio tempo fa, in particolare nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra mondiale. Vorrei evidenziare il fatto che la solidità del sistema creato allora posava non solo sull’equilibrio di potenza e sui diritti dei Paesi vincitori del conflitto, ma anche sul fatto che i "padri fondatori" di questo sistema si rispettavano reciprocamente, non cercavano di condizionare gli altri ma tentavano di raggiungere degli accordi.
L’elemento principale è che questo sistema necessita di svilupparsi e, nonostante i suoi molteplici fallimenti, deve almeno essere in grado di contenere gli attuali problemi mondiali entro determinati limiti, regolando l’intensità della naturale competizione fra i Paesi.
Io sono convinto del fatto che non possiamo mantenere questo meccanismo di pesi e contrappesi che è stato creato negli ultimi decenni, talvolta con difficoltà e sforzi, e semplicemente metterlo da parte senza costruire nient’altro al suo posto. Altrimenti ci troveremo privi di strumenti, ad eccezione della forza bruta. Quello di cui avevamo bisogno era di attuare una razionale ricostruzione per adattarlo alle nuove realtà nel sistema delle relazioni internazionali.
Ma gli Stati Uniti, proclamatisi vincitori della Guerra Fredda, non hanno visto alcuna necessità di far questo. Invece di stabilire nuovi equilibri di potere, essenziali per mantenere l’ordine e la stabilità, hanno fatto dei passi che hanno gettato il sistema in un acuto e profondo squilibrio.
La Guerra Fredda è finita, ma non è finita con la firma di un trattato di pace fondato su accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole esistenti, ovvero creandone di nuove. Ciò ha creato l’impressione che i cosiddetti "vincitori" della Guerra Fredda hanno deciso di far pressione sugli eventi per ridisegnare il mondo secondo le proprie esigenze ed i propri interessi. Se il sistema delle relazioni internazionali esistente, il diritto internazionale, i pesi ed i contrappesi presenti non erano conformi a queste aspirazioni, il sistema veniva dichiarato privo di valore, sorpassato e bisognoso d’immediata demolizione.
Mi si consenta l’analogia, ma questa è la maniera con cui i nuovi ricchi si comportano quando improvvisamente ottengono una grande fortuna, in questo caso sotto forma della guida e del dominio mondiale. Invece di amministrare saggiamente questa ricchezza, certo anche a proprio vantaggio, ritengo che essi abbiano commesso ripetute follie.
Siamo entrati in un periodo di interpretazioni divergenti e di deliberati silenzi nella politica mondiale. Il diritto internazionale è stato costretto ad indietreggiare sempre più sotto l’attacco del nichilismo giuridico. Obiettività e senso di giustizia sono stati sacrificati sull’altare della convenienza politica. Interpretazioni arbitrarie e affermazioni di parte hanno preso il posto di norme legali. Al tempo stesso, il controllo totale dei mezzi globali di comunicazione di massa hanno reso possibile questa tendenza, presentando come bianco il nero e viceversa.
In una situazione in cui un solo Paese ed i suoi alleati (o piuttosto i suoi satelliti) dominano, la ricerca di soluzioni globali si trasforma nel tentativo di imporre le proprie ricette universali. Le ambizioni di questo gruppo sono cresciute al punto che esso ha iniziato a presentare le politiche elaborate nei suoi corridoi come il punto di vista dell’intera comunità internazionale. Ma non è così.
La nozione fondamentale di "sovranità nazionale" è diventata relativa in riferimento alla maggior parte dei Paesi. In sostanza, è stata avanzata questa formula: quanto più grande è la lealtà nei confronti dell’unica potenza mondiale, tanto più grande è la legittimazione di questo o quel governo.
Avremo dopo una libera discussione e sarò lieto di rispondere alle vostre domande, e vorrei a mia volta far uso del diritto a porvi delle domande. Qualcuno cerchi pure in questa discussione di confutare coi fatti le affermazioni che io ho appena proposto.
Le misure che vengono adottate contro coloro che rifiutano di sottomettersi sono ben note e sono state provate e sperimentate parecchie volte. Includono l’uso della forza, la pressione economica e propagandistica, l’interferenza negli affari interni di un Paese, gli appelli ad una specie di legittimazione "sovra-legale", quando c’è necessità di giustificare interventi illegali in questo o in quel conflitto o di rovesciare qualche regime politico non allineato. Di recente abbiamo acquisito numerose evidenze anche circa aperti ricatti esercitati nei confronti di numerosi capi politici. Non per niente questo "grande fratello" sta spendendo miliardi di dollari per tenere sotto sorveglianza il mondo intero, compresi i suoi più stretti alleati.
Domandiamoci allora se siamo più tranquilli per questo, più sicuri, più felici di vivere in questo mondo, e se esso è divenuto più corretto e logico. Forse che non abbiamo ragioni per lamentarci, per opporci e per avanzare domande imbarazzanti? Forse che la posizione eccezionale degli Stati Uniti ed il modo in cui svolgono la loro leadership è per tutti noi una benedizione, ed il loro interferire negli avvenimenti di tutto il mondo sta portando pace, prosperità, progresso, crescita e democrazia, per cui dovremmo forse addirittura rilassarci e goderne tutti?
Lasciatemi dire che non è così, non è affatto così.
Un diktat unilaterale che impone un proprio modello unico produce il risultato contrario. Invece di risolvere i conflitti, li porta ad accrescerli; invece di Stati stabili e sovrani, vediamo crescere e diffondersi il caos; invece della democrazia, si sostengono equivoche forze politiche che vanno dai veri e propri neo-fascisti fino agli islamisti radicali.
Perché sostengono questo tipo di organizzazioni? Lo fanno perché hanno stabilito di usarli come strumenti per perseguire i propri scopi, poi però si scottano le dita e si ritraggono. Non ho mai smesso di meravigliarmi del modo con cui i nostri partner amano replicare le stesse esperienze che abbiamo visto qui in Russia, ripetendo ogni volta gli stessi errori.
Un tempo hanno sostenuto i movimenti estremisti islamici per combattere l’Unione Sovietica. Questi gruppi hanno acquisito la loro esperienza militare in Afganistan e in seguito hanno dato vita ai movimenti talebani e di Al Qaeda. L’Occidente se non li ha addirittura sostenuti ha come minimo chiuso gli occhi e, direi, fornito sostegno informativo, politico e finanziario ai terroristi internazionali che hanno attaccato la Russia (non lo abbiamo dimenticato) e i Paesi dell’Asia centrale. Solo dopo che sono stati compiuti spaventosi attacchi terroristici sul suolo stesso degli Stati Uniti, gli Usa si sono accorti del pericolo comune rappresentato dal terrorismo. Permettetemi di ricordare che siamo stati il primo Paese a dare sostegno al popolo americano in quell’occasione, il primo a reagire come amico e partner alla terribile tragedia dell’11 Settembre.
Nelle mie conversazioni con i leader americani ed europei ho sempre parlato della necessità di combattere il terrorismo insieme, in quanto si tratta di una sfida su scala globale. Non possiamo rassegnarci ed accettare questa minaccia, non possiamo frazionarla in componenti separate, usando doppi binari. I nostri partner hanno espresso il loro consenso, ma dopo poco tempo ci siamo trovati punto e a capo. Prima l’operazione militare in Iraq, poi quella in Libia, che ci ha portati ad un punto di rottura. Perché la Libia è stata spinta in questa situazione? Oggi è un Paese che rischia di andare in pezzi ed è diventato un campo di addestramento per terroristi.
Solo la determinazione e la saggezza dell’attuale governo egiziano hanno salvato questo essenziale Paese arabo dal caos e dall’ascesa degli estremisti. In Siria, come già in passato, gli Stati Uniti ed i loro alleati hanno cominciato finanziando ed armando i ribelli, permettendo loro di inserire nei loro ranghi mercenari da svariati Paesi. Permettetemi di chiedermi da dove questi ribelli ricevono denaro, armi e consiglieri militari? Da dove arriva tutto ciò? Come ha fatto il famoso ISIS a diventare un gruppo potente, in sostanza una vera e propria forza militare?
Ad esempio, nel caso delle risorse finanziarie, oggi, il denaro proviene non soltanto dalla droga, la cui produzione è aumentata non solo di qualche punto percentuale ma di svariate volte dopo che la coalizione internazionale ha iniziato ad operare in Afganistan. Lo sapete bene. I terroristi ricevono denaro anche dalla vendita di petrolio. Il petrolio è prodotto nei territori controllati dai terroristi, che lo vendono sotto costo, lo producono, lo trasportano. Ma qualcuno compra questo petrolio, lo rivende, e ricava da questo dei guadagni, senza pensare che in questo modo finanzia i terroristi che prima o poi potrebbero penetrare anche nei loro Paesi e seminarvi distruzione.
Dove trovano nuove reclute? In Iraq, dopo che Saddam Hussein è stato rovesciato, le istituzioni dello Stato, forze armate comprese, sono state ridotte in rovina. Allora abbiamo detto: fate attenzione, fate molta attenzione. State gettando della gente sul lastrico, e allora cosa farà? Non dimenticate che, a torto o a ragione, erano alla guida di una grande potenza regionale ed ora, che cosa ne state facendo?
Quale è stato il risultato? Decine di migliaia di soldati, ufficiali ed ex-attivisti del partito Baath sono stati gettati sul lastrico ed oggi sono entrati nei ranghi dei ribelli. Forse è questa la ragione per cui il movimento dello Stato Islamico si è dimostrato tanto efficiente? Sul piano militare, sta operando in modo molto efficace e dispone di personale molto professionale. La Russia ha ripetutamente ammonito sui rischi di azioni militari unilaterali, di interventi negli affari interni di uno stato sovrano, di flirtare con estremisti radicali. Abbiamo insistito sul fatto che i gruppi che combattevano contro il governo centrale siriano, in primo luogo lo Stato Islamico, facevano parte delle organizzazioni terroristiche. Con quali risultati? I nostri appelli sono stati vani.
Abbiamo spesso l’impressione che i nostri colleghi ed amici siano costantemente in lotta con le conseguenze delle proprie politiche, concentrando tutti i loro sforzi nel contrastare i rischi che loro stessi hanno creato, pagando un prezzo sempre più alto.
Cari colleghi, questo periodo di dominazione unipolare ha dimostrato in modo convincente che avere un unico centro di potere non rende più gestibili i processi globali. Al contrario, questo tipo di costruzione instabile ha mostrato la propria incapacità di contrastare minacce reali come i conflitti regionali, il terrorismo, il traffico di droga, il fanatismo religioso, lo sciovinismo ed il neo-nazismo. Allo stesso tempo, ha aperto un ampio spazio all’accrescersi dell’orgoglio nazionale, manipolando l’opinione pubblica, tollerando i violenti e schiacciando i deboli.
In sostanza, il mondo unipolare è semplicemente un modo per giustificare la dittatura su popoli e Paesi. Il mondo unipolare è diventato un fardello pericoloso, pesante e ingestibile, addirittura per il suo stesso leader. Qui sono già state svolte delle considerazioni in questo senso poco fa ed io concordo pienamente con esse. Ecco perché vediamo dei tentativi, in questa nuova fase storica, di ricreare l’apparenza di un mondo quasi-bipolare, come utile modello per perpetuare la leadership americana. Non ha importanza chi prende il posto del diavolo nella propaganda americana, la vecchia posizione dell’Urss come nemico principale. Potrebbe essere l’Iran, in quanto Paese che cerca di acquisire una tecnologia nucleare; oppure la Cina, come la più grande economica del mondo; oppure la Russia, per il fatto di essere una super-potenza nucleare.
Oggi stiamo assistendo a nuovi sforzi per frammentare il mondo, per tracciare nuove linee di divisione, organizzando coalizioni non costruite per uno scopo ma dirette contro qualcuno, creando l’immagine di un nemico, come è accaduto durante gli anni della Guerra Fredda, e ottenendo il diritto a questa leadership o dittatura, se preferite. Gli Stati Uniti hanno sempre detto ai loro alleati: "Abbiamo un nemico comune, un nemico terribile, il centro del male, e vi stiamo difendendo, alleati, da esso: per questo abbiamo il diritto di darvi ordini, di spingervi a sacrificare i vostri interessi politici ed economici ed a pagare la vostra quota dei costi di una difesa collettiva, ma noi saremo i soli a dirigere tutto questo, ovviamente". In poche parole, stiamo assistendo ai tentativi di riprodurre, in un mondo nuovo in via di cambiamento, i familiari modelli di gestione globale, il tutto allo scopo di garantire la posizione eccezionale degli Usa, per ricavarne dividendi politici ed economici.
Questi tentativi, tuttavia, sono sempre più lontani dalla realtà ed in contrasto con la complessità del mondo. Passi in questa direzione creano inevitabilmente tensioni e provocano contromisure, sortendo l’effetto opposto rispetto agli obiettivi auspicati. Vediamo cosa succede quando la politica comincia ad interferire in modo avventato nell’economia e la logica delle decisioni razionali lascia il posto alla logica dello scontro che colpisce le posizioni e gli interessi economici, compresi gli interessi economici nazionali.
Progetti economici congiunti e investimenti reciproci oggettivamente portano i Paesi ad essere più vicini ed aiutano ad appianare i problemi ordinari nelle relazioni fra Stati. Ma oggi, la comunità mondiale degli affari si trova di fronte ad una crescente pressione da parte dei governi occidentali. Di quale correttezza nell’economia e negli affari e di quale pragmatismo possiamo parlare quando sentiamo slogan come "la patria è in pericolo", "il mondo libero è minacciato" e "la democrazia è a rischio"? Per questo occorre mobilitarsi. Questa è una vera mobilitazione politica.
Le sanzioni stanno già logorando le basi del commercio internazionale, le regole del WTO ed il principio della proprietà privata. Si tratta di un colpo al modello liberista di globalizzazione basato sui mercati, sulla libertà e sulla competizione, che, permettetemi di osservare, è un modello del quale hanno in primo luogo beneficiato i Paesi occidentali. Ed ora corrono il rischio di perdere la fiducia in loro come leader della globalizzazione. Dobbiamo chiederci, "era necessario tutto questo?" Dopo tutto, la prosperità degli Stati Uniti si fonda in gran parte sulla fiducia degli investitori e dei detentori esteri di dollari e azioni nordamericane. Questa fiducia si sta chiaramente indebolendo e ci sono segni visibili di delusione nei confronti della globalizzazione in molti Paesi.
Il ben noto precedente di Cipro e le sanzioni politicamente motivate hanno soltanto consolidato la tendenza verso un rafforzamento della sovranità economico-finanziaria e del desiderio dei Paesi e delle organizzazioni regionali a trovare delle vie per proteggersi dai rischi di una pressione esterna. Vediamo già sempre più Paesi che cercano di diventare meno dipendenti dal dollaro, costruendo sistemi finanziari, di pagamento e valute di riserva alternativi. Penso che i nostri amici americani stanno semplicemente tagliando il ramo su cui sono seduti. Non possiamo confondere politica ed economia, ma è proprio quello che sta accadendo. Ho sempre pensato e penso anche oggi che le sanzioni motivate politicamente sono un errore che allarmerà tutti, ma io sono sicuro che torneremo più tardi su questo argomento.
Sappiamo come vengono prese queste decisioni e chi sta esercitando questa pressione. Ma permettetemi di sottolineare che la Russia non si sta preoccupando né offendendo né che sta elemosinando davanti alla porta di qualcuno. La Russia è un Paese autosufficiente. Lavoreremo in uno spazio economico estero che ha preso forma, sviluppando la produzione nazionale e la tecnologia, agendo in modo più incisivo sull’innovazione. Le pressioni dall’estero, come è avvenuto in passato, rafforzeranno soltanto la nostra società, tenendoci desti e facendoci concentrare sui nostri principali obiettivi di sviluppo.
Naturalmente le sanzioni costituiscono una difficoltà. Stanno cercando di colpirci tramite le sanzioni, di bloccare il nostro sviluppo e di spingerci in un isolamento politico, economico e culturale: di costringerci a regredire, in poche parole. Lasciatemi dire di nuovo che il mondo è oggi un luogo molto diverso. Non abbiamo intenzione di tagliare i ponti con nessuno né di scegliere una via chiusa di sviluppo, cercando di vivere nell’autarchia. Siamo sempre aperti al dialogo, compresa la normalizzazione delle nostre relazioni economiche e politiche. Contiamo in questo su di un approccio pragmatico e sulla posizione della comunità degli operatori economici dei Paesi più importanti.
Qualcuno sta dicendo oggi che la Russia sta probabilmente volgendo le spalle all’Europa (cose del genere sono state probabilmente già dette anche qui durante la discussione) e sta cercando nuovi partner economici, soprattutto in Asia. Permettetemi di dire che non è assolutamente così. La nostra attiva politica nella regione dell’Asia e del Pacifico non è iniziata oggi e non certo in risposta alle sanzioni, è una politica che stavamo già seguendo da parecchi anni. Come diversi altri Paesi, tra i quali i Paesi occidentali, abbiamo visto che l’Asia sta svolgendo un ruolo sempre più grande nel mondo, sul piano economico e politico, e semplicemente non ci possiamo permettere di ignorare questi sviluppi.
Permettetemi di ripetere che tutti stanno facendo questo e che noi lo facciamo soprattutto in quanto una gran parte del nostro Paese si colloca geograficamente in Asia. Per quale motivo non far uso dei nostri vantaggi competitivi in quest’area? Sarebbe davvero poco lungimirante non farlo.
Sviluppare legami economici con questi Paesi e sviluppare progetti di integrazione, crea grandi stimoli al nostro sviluppo economico interno. Le odierne tendenze demografiche, economiche e culturali suggeriscono che la dipendenza da un’unica superpotenza andrà oggettivamente diminuendo. Si tratta di un fenomeno di cui hanno anche scritto taluni esperti persino in Europa e in America.
Forse gli sviluppi nella politica globale riflettono gli sviluppi cui stiamo assistendo nell’economia globale, così come ad esempio i frequenti mutamenti di direzione politica in aree ben determinate riflettono la forte competizione economica rivolta a specifiche nicchie di mercato. Tutto questo è assolutamente possibile.
Non c’è dubbio che elementi umanitari come l’educazione, la scienza, la difesa della salute e la cultura vanno svolgendo un ruolo crescente nella competizione globale. Anche questo ha un forte impatto sulle relazioni internazionali, anche per il fatto che questo soft power è una risorsa che dipende in gran parte dai risultati concreti nello sviluppo del capitale umano piuttosto che dai sofisticati inganni della propaganda globale.
Nello stesso tempo, la formazione di un cosiddetto mondo policentrico (vorrei richiamare la vostra attenzione anche su questo fatto, cari colleghi) non accresce di per se stesso la stabilità; in realtà potrebbe implicare verosimilmente il contrario. L’obiettivo di un equilibrio globale si sta trasformando in un davvero complicato rompicapo, in un’equazione a molte incognite.
Cosa ci attende se scegliamo non di vivere secondo delle regole, per quanto esse siano rigide e scomode, ma di vivere del tutto senza regole? Questo è uno scenario assolutamente possibile; non possiamo governarlo, date le tensioni sul piano globale. Possiamo fare delle previsioni che tengano conto delle tendenze correnti, ma sfortunatamente non sono ottimistiche. Se non creiamo un chiaro sistema di impegni ed accordi globali, se non costruiamo i meccanismi per gestire e risolvere le situazioni di crisi, i sintomi di un’anarchia globale cresceranno inevitabilmente.
Oggi assistiamo già ad un forte aumento della probabilità di un insieme generale di conflitti violenti, con la partecipazione diretta o indiretta delle maggiori potenze mondiali. Ed i fattori di rischio non comprendono soltanto i tradizionali conflitti multinazionali, ma anche l’instabilità degli Stati disintegrati, specialmente quando parliamo di nazioni che sono collocate all’intersezione degli interessi geopolitici degli stati più importanti, oppure sui confini di civiltà in senso culturale, storico ed economico.
L’Ucraina, che sono certo è stata oggetto di discussione qui a lungo, e di cui discuteremo ancora, è uno degli esempi di questo tipo di conflitto che riguarda l’equilibrio di potenza internazionale, ed io credo che non sarà certo l’ultimo. Da qui deriva la prossima reale minaccia di disgregazione del sistema attuale di accordi sul controllo degli armamenti. Tale pericoloso processo è stato lanciato dagli Stati Uniti d’America allorché essi si sono unilateralmente ritirati dal trattato contro i missili balistici nel 2002 e da quando hanno dapprima deciso e poi proseguito attivamente la creazione del loro sistema globale di difesa antimissile.
Colleghi, amici, io voglio sottolineare che non siamo stati noi ad iniziare questo processo. Una volta ancora, stiamo scivolando verso tempi in cui, invece dell’equilibrio fra interessi e garanzie reciproche, è la paura e l’equilibrio della reciproca distruzione che impedisce alle Nazioni di impegnarsi in conflitti diretti. In assenza di strumenti legali e politici, gli armamenti stanno ancora una volta diventando il punto focale dei programmi globali; essi sono utilizzati dovunque e comunque, senza nessuna sanzione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E se il Consiglio di Sicurezza si rifiuta di prendere queste decisioni, esso viene immediatamente stigmatizzato come uno strumento superato ed inefficace.
Numerosi Stati non vedono altra via che garantirsi la sovranità ottenendo le proprie bombe. Il che è estremamente pericoloso. Noi insistiamo sulla continuazione del dialogo; non siamo solo in favore di colloqui, ma insistiamo sulla continuazione di colloqui rivolti alla riduzione degli arsenali nucleari. Meno armamenti nucleari ci sono nel mondo, meglio è. Noi siamo pronti per le più serie, concrete discussioni sul disarmo nucleare, serie discussioni senza alcun doppio standard.
Cosa intendo dire? Oggi diversi tipi di armamenti ad alta precisione sono già molto vicini alle armi di distruzione di massa in termini di capacità e, nel caso di una completa rinuncia agli armamenti nucleare o di una radicale riduzione del potenziale nucleare, le nazioni che sono leader nella creazione e produzione di sistemi ad alta precisione disporranno di un evidente vantaggio sul piano militare. In tal modo, la parità strategica sarà eliminata e questo fatto ci porterà con ogni probabilità alla destabilizzazione. L’impiego del cosiddetto primo attacco preventivo globale potrebbe diventare una tentazione. In poche parole, i rischi non diminuiranno ma si accresceranno.
La minaccia successiva è costituita da un ulteriore acuirsi dei conflitti etnici, religiosi e sociali. Questo tipo di conflitti non sono solo pericolosi in sé ma anche perché creano delle zone di anarchia, di illegalità e di caos intorno a loro, luoghi che sono ideali per terroristi e criminali, luoghi dove fioriscono pirateria, traffico di esseri umani e droghe.
Talvolta i nostri colleghi hanno tentato di manipolare queste crisi, utilizzando conflitti locali e procurando "rivoluzioni colorate" adeguate ai loro interessi, ma il genio è uscito dalla bottiglia. Sembra che i padri stessi della teoria del caos controllato non sappiano come fare: ci sono divisioni nei loro ranghi.
Noi abbiamo seguito attentamente le discussioni sia delle classi dirigenti che della comunità degli esperti. Basta guardare i titoli della stampa occidentale nel corso dell’anno passato. Le stesse organizzazioni vengono definite combattenti per la democrazia e poi islamisti; prima si parla di rivoluzioni e poi di rivolte e ribellioni. Il risultato è ovvio: ulteriore espansione del caos globale.
Colleghi, data la situazione globale, è tempo di iniziare a stabilire alcuni punti fondamentali. Ciò è di straordinaria importanza e urgenza; è assai meglio che rifugiarsi nei propri angoletti. Quanto più affronteremo insieme i problemi comuni, tanto più saremo, per dir così, nella stessa barca. E la via di uscita più logica è la cooperazione fra nazioni e società, nella ricerca di risposte collettive alle sfide crescenti, nella gestione congiunta dei rischi. Siate certi che alcuni dei nostri partner, per qualche ragione, si ricordano di ciò solo quando questo corrisponde ai loro interessi.
L’esperienza concreta mostra che le risposte congiunte alle sfide non sempre sono una panacea; e dobbiamo tener conto di questo punto. Inoltre, in taluni casi, esse sono difficili da conseguire; non è agevole superare le divergenze fra gli interessi nazionali, le soggettività dei diversi approcci, in particolare quando derivano da differenti tradizioni storico-culturali. Nondimeno, abbiamo esempi di casi in cui, avendo obiettivi comuni e agendo sulla base degli stessi criteri, abbiamo ottenuto insieme dei successi concreti.
Permettetemi di ricordare come è stato risolto il problema delle armi chimiche in Siria, il concreto dialogo sul programma nucleare iraniano, così come il nostro lavoro sulle questioni della Nord Corea, che ha ottenuto qualche risultato positivo. Perché non usare questa esperienza anche in futuro per risolvere sfide locali e globali?
Quali potrebbero essere le basi legali, politiche ed economiche di un nuovo ordine mondiale che permetta stabilità e sicurezza, incoraggiando una sana competizione, non permettendo la formazione di nuovi monopoli che rallentino lo sviluppo? Non è realistico pensare che qualcuno possa fornire soluzioni del tutto esaurienti, pronte per l’uso immediatamente. Avremo bisogno di un intenso lavoro con la partecipazione di un ampio raggruppamento di governi, interessi economici globali, società civile e gruppi di esperti come questo.
Tuttavia, è ovvio che successo e risultati concreti sono possibili soltanto se attori-chiave nelle relazioni internazionali riescono a trovare un accordo sull’armonizzazione dei loro interessi essenziali, su accettabili auto-limitazioni e possono così dare l’esempio di una leadership costruttiva e responsabile. Dobbiamo identificare in modo chiaro dove terminano le azioni unilaterali e abbiamo l’esigenza di applicare meccanismi multilaterali, e, come parte del rafforzamento dell’efficacia del diritto internazionale, dobbiamo risolvere il dilemma fra le azioni della comunità internazionale rivolte ad assicurare la sicurezza ed i diritti umani, da una parte, e dall’altra il principio della sovranità nazionale e della non ingerenza negli affari interni di uno Stato. La questione della conservazione della sovranità diventa realmente fondamentale nel mantenimento e rafforzamento della stabilità globale.
Chiaramente, discutere i criteri per l’uso della forza esterna è estremamente difficile; è praticamente impossibile separarla dagli interessi specifici delle nazioni. Tuttavia, è assai più pericoloso che non vi siano accordi chiari a tutti, che non vi siano chiare condizioni che giustifichino la necessità e la legalità dell’ingerenza.
Vorrei aggiungere che le relazioni internazionali devono essere basate sul diritto internazionale che a sua volta deve posare su principi morali di giustizia, uguaglianza e verità. Forse è sopratutto importante il rispetto per i propri partner ed i loro interessi. Questa è una formula ovvia, ma semplicemente seguirla potrebbe cambiare radicalmente la situazione globale.
Sono certo che, se si ha questa volontà, possiamo ristabilire l’efficacia del sistema delle organizzazioni internazionali e regionali. Non abbiamo nemmeno bisogno di costruire qualcosa di radicalmente nuovo; questo non è un terreno vergine, specialmente dopo che le istituzioni create dopo la Seconda Guerra mondiale sono diventate universali e possono fornire una base moderna adeguata a gestire la situazione corrente.
È corretto potenziare il lavoro delle Nazioni Unite, il cui ruolo centrale è insostituibile, così come quello dell’Osce che, nel corso di quarant’anni, ha dimostrato di essere un meccanismo necessario per assicurare le sicurezza e la cooperazione nella regione Euro-atlantica. Devo dire che persino adesso, nel tentare di risolvere la crisi nel sud-est dell’Ucraina, l’Osce sta svolgere un ruolo molto positivo.
Alla luce dei fondamentali cambiamenti intervenuti nell’ambiente internazionale, l’aumento di ingovernabilità e di minacce diverse, abbiamo bisogno di un nuovo consenso globale delle forze responsabili. Non si tratta di qualche accordo a livello locale o di una divisione delle sfere di influenza, nello spirito della diplomazia classica, o del dominio globale totale di qualcuno. Penso che abbiamo bisogno di una nuova versione dell’interdipendenza. Non dovremmo averne paura. Al contrario, è un buon strumento per armonizzare le posizioni.
La questione è particolarmente rilevante dato il rafforzamento e la crescita di alcune regioni del pianeta che obiettivamente richiedono l’istituzionalizzazione di questi nuovi poli, creando autorevoli organizzazioni regionali e sviluppando regole per la loro interazione. La cooperazione fra questi nuovi centri dovrebbe accrescere la stabilità della sicurezza politica ed economica globale. Ma, per stabilire un simile dialogo, abbiamo bisogno di partire dal presupposto che tutti i centri regionali ed i progetti di integrazione in formazione intorno ad essi necessitano di un eguale diritto di svilupparsi, in modo che possano essere reciprocamente complementari e che nessuno possa porli artificialmente in conflitto o in opposizione. Azioni così distruttive infrangerebbero i legami fra gli Stati e gli Stati stessi sarebbero soggetti a tensioni estreme o addirittura alla totale disintegrazione.
Vorrei rammentare gli avvenimenti dello scorso anno. Abbiamo detto ai nostri partner americani ed europei che affrettate decisioni segrete, per esempio, sull’associazione dell’Ucraina alla Ue sono piene di rischi sul piano economico. Non diciamo poi sul piano politico: abbiamo parlato soltanto del piano economico, affermando che simili passi, intrapresi senza accordi preventivi, colpiscono gli interessi di diverse altre nazioni, compresa la Russia in quanto maggior partner commerciale dell’Ucraina e che si rende necessaria un’ampia discussione di questi temi. Incidentalmente vorrei ricordarvi che, ad esempio, le discussioni sull’accessione della Russia al Wto sono durate diciannove anni. Si è trattato di un lavoro molto difficile ed è stato raggiunto un certo consenso.
Perché sollevo questa questione? Perché, realizzando il progetto di associazione dell’Ucraina, i nostri partner entrano da noi con i loro beni e servizi dal retrobottega, diciamo così, e noi non eravamo d’accordo su questo, nessuno ha chiesto la nostra opinione in merito. Abbiamo avuto conversazioni su tutti gli argomenti relativi all’associazione dell’Ucraina con la Ue, conversazioni permanenti, ma voglio sottolineare che il tutto è avvenuto in modo civile, indicando i possibili problemi, illustrando i nostri ovvii ragionamenti e argomentazioni. Nessuno ha voluto ascoltarci e nessuno ha voluto discutere. Semplicemente ci dicevano: questi non sono affari vostri, punto, fine della discussione. Invece di un ampio, ma, sottolineo, civile dialogo, tutto si è risolto nel rovesciamento di un governo; hanno fatto piombare il Paese nel caos, nel collasso economico e sociale, in una guerra civile con enormi perdite.
Perché? Quando ho chiesto ai miei colleghi perché, non hanno più risposto; nessuno dice più niente. Ecco tutto. Perdiamo tutti, quando le cose vanno in questo modo. Azioni del genere non avrebbero dovuto essere incoraggiate, non avrebbero funzionato. Dopo tutto (io ne ho già parlato), l’ex presidente ucraino Yanukovich aveva firmato tutto, era d’accordo con tutto. Perché farlo? Qual era il punto? Era questa una maniera civile di risolvere i problemi? Apparentemente, quelli che producono continuamente nuove "rivoluzioni colorate" considerano se stessi "artisti brillanti" e non possono semplicemente smettere.
Sono certo che il lavoro delle associazioni integrate, la cooperazione delle strutture regionali, dovrebbero essere costruiti su basi trasparenti e chiare; il processo di formazione dell’Unione Economica Eurasiatica è un buon esempio di una simile trasparenza. Gli Stati che fanno parte di questo progetto hanno informato i loro partner dei loro piani in anticipo, specificando i parametri della loro associazione, i principi del loro lavoro che rispondono completamente alle regole del Wto.
Aggiungerò che avremmo anche dato il benvenuto all’avvio di un dialogo concreto fra l’Unione Eurasiatica e l’Unione Europea. Incidentalmente, ci hanno completamente negato anche questa possibilità ed è parimenti oscuro perché – cosa c’è di così preoccupante in questo?
Naturalmente, con un simile lavoro congiunto, penseremmo di aver bisogno di sviluppare un dialogo (ho parlato di questo diverse volte ed ho trovato il consenso di numerosi nostri partner occidentali, almeno in Europa) sulla necessità di creare uno spazio comune per la cooperazione economica e umanitaria estendendolo dall’Atlantico al Pacifico.
Colleghi, la Russia ha compiuto la sua scelta. Le nostre priorità sono di sviluppare le nostre istituzioni democratiche e dell’economia aperta, tenendo in considerazione tutte le moderne tendenze mondiali e consolidando una società basata sui valori tradizionali e sul patriottismo.
Noi abbiamo un programma orientato all’integrazione, concreto e pacifico; stiamo lavorando attivamente con i nostri colleghi dell’Unione Economica Eurasiatica, dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai, dei Brics e di altri partner. Questo programma è rivolto a sviluppare legami tra governi, non a dissolverli. Non stiamo pianificando di mettere insieme qualche blocco o di farci coinvolgere in uno scambio di colpi.
Le accuse e le affermazioni secondo cui la Russia sta tentando di costituire una specie di impero, interferendo nella sovranità dei nostri vicini, sono prive di fondamento. La Russia non ha alcun bisogno di una posizione speciale, esclusiva nel mondo, voglio sottolinearlo. Mentre rispettiamo gli interessi altrui, vogliamo semplicemente che i nostri interessi siano presi in considerazione e la nostra posizione rispettata.
Siamo tutti pienamente coscienti che il mondo è entrato in un’era di cambiamenti e di trasformazioni globali, quando noi tutti necessitiamo di un elevato grado di attenzione, l’abilità di evitare passi incauti. Negli anni successivi alla Guerra Fredda, gli attori della politica globale hanno perso in certo modo queste qualità. Ora, c’è bisogno di ricordargliele. Altrimenti le speranze di uno sviluppo pacifico e stabile saranno un’illusione pericolosa, mentre il disordine odierno semplicemente servirà quale preludio al collasso dell’ordine mondiale.
Sì, certo, ho già detto che costruire uno stabile ordine mondiale è un compito difficile. Parliamo di un lavoro lungo e difficile. Siamo stati in grado di sviluppare delle regole per interagire dopo la Seconda Guerra mondiale, e siamo stati in grado di raggiungere un accordo ad Helsinki negli anni Settanta. Il nostro dovere comune è affrontare questa sfida fondamentale in questa nuova fase di sviluppo.
Grazie della vostra attenzione.

 

 

(traduzione a cura di G. Colonna)

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