La parole tra di noi

Una sciabolata di luce lo colpì violentemente agli occhi, facendolo uscire bruscamente dal sonno. I dolori che seguirono lo immobilizzarono. Iniziò a pensare: ricordava infatti chi era, ma non dove fosse e perché.

Sentiva di là da qualche parte l’acciottolio tipico di una conduzione domestica, voci di donne e di bimbi. S‘irrigidì: non capiva infatti cosa dicessero, ma conosceva la lingua che usavano. Era la lingua del Nemico. Gli salì un’acre paura: a sua conoscenza quella non era una guerra in cui si facessero prigionieri. Lo scambio di soldati fra le parti combattenti non era un’opzione. E lui era un soldato.

Entrarono tre donne. Avevano il volto coperto e in mano vasi e contenitori vari. Non lo guardavano mai in faccia, ma iniziarono a lavarlo e a pulirgli le ferite. Parlavano poco anche fra di loro e niente con lui, ma non erano né scostanti né distanti. Sentiva quei tocchi sulla sua pelle, leggeri e precisi, sicuri di sé. D’un tratto gli venne da pensare a sua moglie e una nostalgia feroce l’afferrò a tradimento, penosa quasi come un dolore fisico. Mancava da casa da quasi un anno, e quanto a tornare… Si sforzò di non lasciar uscire le lacrime di frustrazione. Fu allora che la donna che guidava le operazioni alzò il volto di scatto e lo guardò. Velocemente, ma intensamente. Gli parve uno sguardo preoccupato e anche interrogativo, a cui lui rispose con un faticoso sorriso, l’unica risorsa che in quel momento avesse per tranquillizzarla: sentiva di doverglielo. Per un momento i loro occhi si agganciarono: lui vide in quelli di lei fierezza, apprensione, risolutezza, riserbo. Nei suoi, sperò che lei vi avesse scorto gratitudine. Fu un attimo, poi la donna si ritrasse.

Dormiva molto. Le giornate erano scandite dal rito quotidiano della pulizia, della medicazione e dai pasti. Un giorno il chiacchiericcio dei bimbi si fece più nitido: voltando il capo vide affacciati sulla soglia sei o sette monelli che lo guardavano. Vergognosi: distoglievano immediatamente lo sguardo non appena lui incrociava i loro occhi ridenti. Tutti tranne uno: quello con un braccio al collo e una fasciatura su una gamba. Questi lo guardava fissamente e sembrava volergli dire qualcosa: posava su di lui uno sguardo attento e serio, si protendeva un poco in avanti poi si ritraeva, pronunciava suoni a lui incomprensibili. Quella sorta di dondolio lo aveva quasi ipnotizzato; quel volto poi gli rammentava qualcosa.
Ma arrivò all’improvviso la donna dello sguardo, gridando verso i bambini, riprendendo aspramente quello ferito.
Quella sgridata improvvisa e così stridente con l’atmosfera di prima fu per lui come un’esplosione.

Iniziò allora a ricordare.

Era vicino al bersaglio che aveva segnato elettronicamente per il missile aria-terra che il drone avrebbe sganciato da lì a poco. Fu allora che vide un ragazzino aggirarsi proprio nei suoi dintorni. Lanciò al Comando il messaggio di "presenza di bersaglio indesiderato" chiedendo l’annullamento della missione. Ottenne responso negativo: l’obiettivo era "altamente strategico".
Poi fu solo un secondo d’indecisione. Correndo a più non posso raggiunse alle spalle quella figura ignara, la sollevò, continuò a correre con tutta la forza che la paura gli dava. Cercava un qualsiasi riparo sforzandosi di non pensare alla devastante potenza del missile in arrivo. Che era stato lanciato e si annunciava con un sibilo e un rumore terrificanti.
I muscoli di braccia e gambe in fiamme, il cuore che più non era in grado di pompare alcunché, gli occhi accecati di sudore non gli impedirono di correre ancora per un paio di metri e lanciarsi verso una piccola duna. Voleva rotolarsi al di là di essa tenendo il bimbo sotto di sé.
Fu in quel momento che arrivò l’esplosione. Venne violentemente sbalzato in avanti da un fuoco feroce e da mille trafitture maligne che gli portarono via brandelli interi di pelle e carne. Vide per una frazione di secondo che era riuscito a far da scudo, almeno parziale. Poi fu tutto buio e incoscienza.

Tornò a guardare quel bimbo. I loro occhi s’incrociarono di nuovo. Un sorriso gli salì dal cuore, un sospiro allentò la sua tensione; il bimbo, sollevato, gli sorrise a sua volta. La donna smise allora di parlare e con ritrovata, delicata fermezza spinse per le spalle il bambino fuori dalla camera.

Era pensieroso per l’assenza fino a quel momento di voci maschili: quella casa non era abitata da uomini? Erano già informati della sua presenza?
Come richiamata da quei pensieri, una figura maschile irruppe alla fine nella stanza. E con lui la sua paura. Poco discosti ma indietro, la donna e il bambino. L’uomo l’osservava con occhi penetranti, duri e sospettosi. Era armato. Incrociarono gli sguardi. Lui pensò alla propria famiglia, ai suoi figli piccoli, alle cose che aveva promesso loro di fare una volta tornato. E che aveva promesso di tornare.
L’uomo intanto stava guardando la donna e aveva messo una mano sulla testa del piccolo. Questi lo osservava interrogativo, la donna gli annuiva lievemente. L’uomo tornò allora a investigarlo un’ultima volta, poi si voltò e uscì.

Mani decise ma non ostili lo fecero alzare e lo accompagnarono fuori. Gl’indicarono un gruppo di persone lontane un centinaio di metri, rivolte
nervosamente verso di lui: suoi commilitoni. Lo sospinsero in quella direzione. S’incamminò.
Era vivo. Era libero. Era pesantemente consapevole della responsabilità che tutto ciò comportava.

L’AUTORE: Fabrizio Bertorino
Laureato in Scienze Politiche alla Cattolica di Milano avendo avuto l’onore e l’onere di studiare con Gianfranco Miglio, una specializzazione in Diritto Amministrativo alla SPISA di Bologna, dopo aver attraversato per più di due decenni, quasi indenne, i mondi aziendali privati e pubblici come manager, consulente, formatore, si è concesso il regalo di accostare a queste attività lo scrivere, e non solo per sé – realizzando così un desiderio antico – e la bicicletta come professione: diventando Guida di mountain bike, ha unito altri due suoi amori (bici e montagna).

Il racconto ha ottenuto il secondo premio nel concorso indetto dalla Fondazione Hospice Trentino (http://www.fondazionehospicetn.it/), una Onlus che si occupa di cure palliative. Il tema di quest’anno – il quinto – era "Il dialogo".

Clarissa.it è lieta di pubblicare questo racconto di cruda attualità nella convinzione che un testo così drammatico nella sua raffinata semplicità potrà essere di stimolo alla riflessione sugli orrori della guerra moderna.

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