La Russia salva la pace in Medio Oriente, ma fino a quando?

La posizione della Russia in difesa della Siria sta per ora impedendo lo scoppio di una nuova guerra in Medio Oriente: occorre dirlo chiaramente.
Sicuramente ha pesato sul momentaneo rinvio di Obama l’infortunio parlamentare di Cameron in Inghilterra, che dimostra una volta di più che di per sé i popoli anglosassoni non sono affatto interessati alle politiche imperiali dei loro governi – anche se questi puntualmente li portano riluttanti alle guerre: come avvenne per la Gran Bretagna nell’agosto del 1914 e per gli Stati Uniti d’America nel 1941. Del resto Obama ha già ottenuto un assenso bi-partisan dal Senato statunitense e sta esercitando forti pressioni sui deputati per arrivare allo stesso risultato in pochi giorni.
La ragione più seria del colpo di freno del presidente statunitense sta quindi nella posizione russa: per questo, tra il 5 ed il 6 settembre, al vertice del G20 di San Pietroburgo il presidente Obama tenterà di arrivare ad un accordo con la Russia per ottenere luce verde all’attacco occidentale. Si tratta di vedere se un simile accordo sarà possibile, ora che la Russia di Putin ha dovuto prendere atto del fatto che la propria trentennale arrendevolezza alle ripetute azioni di guerra occidentali in Medio Oriente ha gradualmente eroso tutte le posizioni internazionali del grande Paese euro-asiatico, portando conflitti, missili e basi militari nordamericane praticamente lungo tutta la linea dei suoi confini, Cina esclusa. Senza con questo avere reso né più pacifico né più stabile il Medio Oriente, area che per la Russia è storicamente di importanza cruciale, come lo è per l’Europa.
D’altra parte la Russia è altrettanto consapevole del fatto che l’attacco alla Siria non è altro che l’anticamera di una "soluzione finale" della questione mediorientale che porta necessariamente con sé la "soluzione finale" del problema del nucleare iraniano: decisione essenziale sulla quale, come ripetutamente clarissa.it ha documentato, gli strateghi israeliani stanno lavorando sistematicamente da oltre tre anni e che potrebbe essere il naturale sviluppo dell’azione contro il regime di Assad. Vi sono notizie, non ufficialmente confermate, secondo le quali l’Iran avrebbe proposto ad Assad ed alla Russia di ospitare sotto garanzia russa gli armamenti chimici siriani sul proprio territorio: una proposta che, se vera, sarebbe interessante da decifrare, perché se da un lato in questo modo l’Iran amplierebbe a se stesso l’ombrello politico russo, dall’altro renderebbe ancora più probabile l’estensione del conflitto, fornendo un’ulteriore giustificazione soprattutto a quegli strateghi israeliani che ritengono necessaria una "guerra preventiva" contro l’Iran.
Nel frattempo, per piegare l’inattesa tutela russa sul regime di Assad, gli Usa hanno messo anche in campo un personaggio fondamentale delle vicende mediorientali, il principe saudita Bandar al Sultan, responsabile dei servizi di intelligence dell’Arabia Saudita ed ex presidente del consiglio di sicurezza di quel paese, nonché uomo di riferimento della famiglia Bush in Medio Oriente. Sappiamo già del resto che Bandar al Sultan è con ogni probabilità uno degli ideatori della strategia di destabilizzazione della Siria, come clarissa.it ebbe modo di anticipare al principio della terribile vicenda siriana. Ora, secondo indiscrezioni di alcuni giornali esteri, l’aristocratico saudita avrebbe offerto a Putin, lo scorso 31 luglio, in un incontro riservato, ben 15 miliardi di dollari che i sauditi sarebbero pronti a sborsare per acquistare armi russe; inoltre avrebbe garantito che il gas proveniente dal Qatar non verrà indirizzato verso l’Europa, in modo da non fare concorrenza al progetto della Gazprom russa per un gasdotto meridionale destinato ad alimentare l’Europa – una notizia ovviamente fondamentale per noi europei. In cambio, la Russia dovrebbe però abbandonare la Siria all’influenza wahabbita. Una proposta che ad oggi pare Putin abbia rimandato al mittente, consapevole di quanto da decenni va accadendo nelle zone calde del Caucaso e dell’Asia Centrale da parte dei movimenti integralisti finanziati da sauditi.
Difficile dire cosa il presidente americano potrà mettere sul piatto di una trattativa per spingere la Russia ad abbandonare Bashir al Assad: sicuramente, gli Usa utilizzeranno elementi importanti di pressione, come la questione del dispiegamento del sistema di difesa antimissile lungo i confini occidentali europei della Russia, che silenziosamente giace da anni sul tappeto della politica internazionale senza che l’Unione Europea se ne preoccupi minimamente; potranno proporre anch’essi soluzioni rivolte ad agevolare la politica commerciale russa di forniture energetiche strategiche nei confronti dell’Europa; potranno forse anche tentare di sollevare al Cremlino preoccupazioni sui futuri rapporti geo-politici nei confronti della Cina. E non è certo possibile dire oggi quale possa essere il punto su cui un eventuale negoziato riuscirà ad ammorbidire la posizione russa.
Se questa potrebbe essere la "carota" occidentale, abbiamo già visto quale sia "il bastone" che viene brandito nel Mediterraneo orientale, vale a dire su di uno storico fronte caldo della storia russa: lo scorso luglio, unità speciali israeliane hanno colpito un consistente deposito di missili russi di ultima generazione appena consegnati alla Siria. Un gravissimo atto offensivo al quale singolarmente la Russia non ha minimamente reagito, probabilmente interpretandolo come una diretta provocazione con la quale si voleva verificare fino a che punto la Russia era pronta a rischiare per difendere Damasco: il silenzio russo deve essere compreso, a nostro avviso, non come un segno di debolezza ma, al contrario, come un segno di consapevolezza del livello di pericolosità della politica di Israele, con il cui primo ministro Putin si era incontrato poche ore prima.
Lo Stato ebraico ha replicato con un atto ancora più grave, in primo luogo rivolto ancora alla Russia, la sola potenza non occidentale che potesse averne notizia, grazie alla propria stazione radar di allarme di Armavir presso il Mar Nero: cacciabombardieri israeliani hanno infatti lanciato due missili Arrow III contro un bersaglio in mare, dalla zona centrale del Mediterrano all’area antistante le coste orientali, siriane e libanesi, del Mediterraneo, operando da una zona da tempo oggetto di imponenti esercitazioni aeree israeliane di cui clarissa.it ha dato notizia a suo tempo.
In questo modo lo Stato ebraico ha voluto lanciare, in questo momento decisivo per la sua politica di potenza, assieme ad un monito diretto alla Russia, alcuni altri significativi messaggi: un ennesimo avvertimento all’Iran circa la propria capacità di svolgere operazioni complesse di attacco aereo su lunghe e lunghissime distanze; sul piano geo-strategico più generale, un segnale della propria raggiunta posizione di potenza militare mediterranea, in grado di operare in modo indipendente in tutta l’area. Cercando di coinvolgere gli Usa in questa operazione col fare riferimento ad un’esercitazione congiunta, subito smentita dai nordamericani, si è poi adottato un modo elegante per confermare agli Usa che Israele è oggi comunque pronto ad agire anche da solo.
Le prossime ore ci diranno se la Russia sarà o meno in grado di sostenere fino in fondo il proprio ruolo di tutela nei confronti della Siria. Quello che è certo è che per la prima volta dalla fine dell’Urss, la Russia tenta di svolgere di nuovo il ruolo di grande potenza internazionale, cercando di disegnare un’ultima spiaggia su cui fermare la politica anglosassone di intervento diretto in Medio Oriente. Una politica che, occorre ripeterlo, dietro la bandiera del democracy building ha condotto a conflitti senza fine, all’esplodere di guerre civili, a dilanianti scontri etnico-religiosi, al moltiplicarsi di episodi di terrorismo, provocando decine di migliaia di vittime civili e milioni di profughi. Saggezza e reale impegno per la pace vorrebbero ora che i Paesi europei si affiancassero alla Russia nel cercare di arrestare, prima che sia troppo tardi, quest’ultima minaccia alla pace mondiale, forse la più insidiosa di tutte.
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