Turchia e Israele: l’asse strategico si ricompone?

Come avevamo ipotizzato di recente, il processo di riavvicinamento fra Turchia e Israele è in pieno corso ed è la Turchia a dimostrare con evidenza il maggiore interesse al ristabilimento del tradizionale rapporto di collaborazione militare ed economica con lo Stato ebraico.
Secondo quanto ha dichiarato qualche giorno fa il ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu, proprio il viaggio di Obama in Israele sarebbe stata l’occasione per esercitare forti pressioni sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in vista di una soluzione amichevole del contenzioso apertosi con l’uccisione di nove attivisti umanitari da parte dello Stato ebraico.
A partire dalla visita del primo marzo scorso ad Ankara, lo stesso Davutoglu avrebbe infatti scambiato con il segretartio di Stato Usa John Kerry almeno sei bozze di un possibile testo di scuse da parte di Israele, che il governo turco era pronto ad accettare. Alla fine un accordo sarebbe stato raggiunto, dopo una telefonata a tre fra Erdogan, Netanyahu e lo stesso Obama, nel corso della sua visita in Israele: un accordo i cui termini precisi restano ignoti, ma che comunque sancirebbero la disponibilità israeliana a risarcire le vittime della vera e propria operazione di guerra con la quale truppe speciali della marina israeliana, all’alba del 31 maggio 2010, attaccarono la nave turca Navi Marmara, che guidava la cosiddetta Freedom Flottilla, a bordo della quale si trovavano inermi attivisti di diversi paesi, intenzionati a violare il blocco navale israeliano per portare aiuti umanitari nella striscia di Gaza sotto occupazione: durante l’abbordaggio, i soldati israeliani uccisero ben nove degli attivisti, tutti appartenenti ad un’organizzazione umanitaria turca.
Secondo indiscrezioni, nelle prossime settimane, facendo seguito all’accordo che sarebbe stato raggiunto, i segni della rappacificazione fra le due potenze mediorientali dovrebbero concretizzarsi nell’aumento della rappresentanza diplomatica turca a Tel Aviv e nelle visite di funzionari turchi, in preparazione addirittura di una visita di Davutoglu nello Stato ebraico e poi forse a Gaza. In parallelo, il governo turco avrebbe già sviluppato opportuni contatti informativi con i Palestinesi di Abu Mazen in Cisgiordania e di Hamas a Gaza, in modo da non porli difronte al fatto compiuto.
Sembra evidente che la posta in gioco per la Turchia sia la soluzione della questione siriana, data l’inattesa e perdurante capacità del presidente siriano Assad di mantenere consenso e forza militare sul terreno sufficienti ad impedire che le opposizioni riescano almeno per ora a vincere la sanguinosa guerra civile in corso.
Sullo sfondo, tuttavia, restano le grandi crisi mediorientali, dovute al sostanziale fallimento della "primavera araba" in tutta l’area ed all’incombere di un possibile operazione militare di Israele contro l’Iran, che gli incontri fra Netanyahu e Obama non sembrano affatto poter evitare: secondo il governo israeliano, infatti, il tempo residuo per potere operare militarmente con un successo tale da arrestare la nascita della vera o presunta arma atomica iraniana sarebbe giunto agli sgoccioli.
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