Giacomo Gabellini, LA PARABOLA – Geopolitica dell’unipolarismo statunitense

Il crollo dell’Unione Sovietica ha permesso a Washington di instaurare un assetto geopolitico unipolare incardinato sugli Stati Uniti. Per raggiungere questo obiettivo, i centri decisionali statunitensi hanno escogitato e messo in atto una strategia "mondialista" volta ad omologare tutti i popoli che abitano il pianeta ai principi del nuovo ordine mondiale. Tale strategia si è dispiegata sul piano economico attraverso l’espansione coatta del libero mercato, su quello geopolitico con l’occidentalizzazione del mondo e su quello militare con la riconfigurazione ed espansione verso est della NATO. Questo libro indaga i passaggi fondamentali che caratterizzano questa "parabola" unipolare statunitense, che ha conosciuto la propria fase ascendente e il proprio picco nel corso degli anni ’90, per poi intraprendere una discesa progressiva che non pare ancora essersi conclusa. Ne emerge uno scenario molto distante dalle raffigurazioni ufficiali, che vede numerosi attori emergenti implementare piani che mirano ad alterare i rapporti di forza internazionali e a ridefinire l’assetto mondiale, in cui l’avvento del multipolarismo comporterà la conclusione della breve e turbolenta "parabola" statunitense.

 

Per gentile concessione dell’Autore pubblichiamo alcune pagine del libro (242-244):

 

[…] Israele teme che l’avanzata dei temuti Fratelli Musulmani, sostenuti da Washington, in gran parte del mondo arabo possa fare in modo che qualcosa di analogo al caso egiziano possa verificarsi anche in Giordania e, soprattutto, in Siria dove il Baath, nonostante tutto, riesce ad esercitare un rilevante grado di controllo sul paese. Tutte queste considerazioni riguardano però la marginalità della questione, poiché la Siria costituisce un tassello fondamentale della strategia adottata dall’attuale governo israeliano, i cui obiettivi sono espressamente indicati nel Clean Break (cui si è accennato in precedenza): rendere sicuro il confine settentrionale di Israele ed instaurare una strategia fondata sulla potenza militare. All’interno di tale documento si legge, infatti, che «La Siria sfida Israele sul suolo libanese. Un approccio efficace, con cui gli americani potrebbero simpatizzare, prevede che Israele acquisisca l’iniziativa strategica lungo i suoi confini settentrionali impegnando Hezbollah, Siria e Iran» .
Colpire le infrastrutture del Libano costituisce un aspetto essenziale di questo progetto, così come «Distogliere l’attenzione di Damasco facendo leva su elementi dell’opposizone libanese per intaccare il controllo siriano del Libano» . L’attacco israeliano al Libano del 2006 e la Rivoluzione dei Cedri, fiorita sul cadavere di Rafik al-Hariri (la cui uccisione, attribuita a gran voce ad Hezbollah, acquisice un significato molto preciso alla luce dei principi stabiliti nel Clean Break), trovano quindi una perfetta collocazione strategica. L’obiettivo finale di questo ambizioso progetto è chiaramente quello di disarticolare il fronte nemico, rompendo l’alleanza tra Beirut, Damasco e Teheran all’altezza della Siria, attraverso il riciclo del "modello salvadoregno" elaborato negli anni ’80 sotto la supervisione di John Negroponte, che provocò una proliferazione di squadroni della morte capaci di disseminare di stragi gran parte dell’America centrale (Honduras, Nicaragua, Salvador).
Il nodo cruciale dell’intera vicenda viene tuttavia indicato dall’ex direttore del Mossad Efraim Halevy, il quale osserva che «Assad deve dimettersi. Ma per Israele, la questione cruciale non è se cade, ma se la presenza iraniana in Siria sopravviverà al suo governo. Recidere il laccio che lega l’Iran alla Siria è essenziale per la sicurezza di Israele. E il rovesciamento di Assad deve comportare tassativamente la fine dell’egemonia iraniana sulla Siria. Il mancato raggiungimento di questo vitale obiettivo priverebbe la caduta di Assad di ogni significato» . Per questa ragione, « Con la caduta del regime l’intero equilibrio delle forze nella regione subirebbe un cambiamento epocale. Il terrorismo supportato dall’Iran verrebbe visibilmente contenuto; Hezbollah perderebbe il suo fondamentale canale siriano verso l’Iran e il Libano potrebbe tornare ad una normalità a lungo dimenticata, i combattenti di Hamas a Gaza si vedrebbero costretti a pianificare un futuro senza armi ed addestramento iraniani; e i cittadini iraniani potrebbero, una volta ancora, sollevarsi contro il regime che ha inflitto loro tali dolori e tante sofferenze» .
Al netto della consueta retorica a buon mercato, il nocciolo della questione sollevata da Halevy emerge con estrema chiarezza. Per appoggiare le posizioni assunte dai più ferventi interventisti, Israele deve prima assicurarsi che la caduta del regime di Bashar al-Assad comporti la rottura del legame che unisce Damasco a Beirut. Ciò provocherebbe il conseguente isolamento di Hezbollah, capitalizzato il quale Washington potrebbe, con il consueto ausilio di Tel Aviv, dedicarsi alla definitiva implementazione della cosiddetta "strategia dell’anello dell’anaconda", il progetto elaborato dalla Commissione Trilaterale che mira a saldare tutti gli anelli che compongono la catena del rimland attraverso la partizione del pianeta in tre macroregioni geoeconomiche (Stati Uniti, Europa, estremo Oriente-Pacifico), in modo da ostruire lo sbocco ai mari caldi inesaustamente auspicato dalla Russia, potenza centrale della massa contientale eurasiatica. Dal momento che l’Iran costituisce il potenziale presidio meridionale dell’Eurasia nonché l’anello fondamentale attraverso il quale Mosca, che con Teheran mantiene una solida alleanza strategica, può estendere la propria influenza verso il Vicino e Medio Oriente, per gli Stati Uniti l’isolamento della Repubblica Islamica non può che rappresentare un obiettivo di primaria importanza […].

Per maggiori informazioni:
http://www.laparabola-geopolitica.blogspot.it/
per ordinativi del libro:
http://www.anteoedizioni.eu/

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