Israele decide sull’attacco all’Iran

L’attentato al bus israeliano in Bulgaria ha sollevato meno attenzione del solito anche se potrebbe rappresentare il punto di partenza di un ulteriore aggravarsi della situazione mediorientale.
Sono molti gli elementi che fanno ritenere che il governo israeliano sia ormai prossimo ad assumere decisioni irrevocabili nei confronti della vera o presunta minaccia nucleare iraniana. Alla vigilia del viaggio del ministro della difesa Usa Leon Panetta in Israele, atteso nella prossima settimana, è quindi utile fare il punto sulla situazione.
Netanyahu dispone infatti di una maggioranza politica schiacciante nel gabinetto ristretto che assume le decisioni sulla pace e sulla guerra: la fuoriuscita del partito Kadima dopo una breve luna di miele non modifica nulla nemmeno da questo punto di vista.
Sarebbe forse importante analizzare, più di quanto solitamente non si faccia, la posizione degli ultra-ortodossi del rabbino Ovadia Yosef, novantunenne leader del partito Shas, rammentando che il voto di questa organizzazione è stato sempre determinante nelle decisioni strategiche fondamentali per Israele, dagli accordi di Camp David all’attacco al Libano.
L’opposizione tecnica militare manifestata da alcuni alti rappresentati della comunità militare e dell’intelligence, Gabi Ashkenazi (IDF), Meir Dagan (Mossad) e Yuval Diskin (Shin Bet), non ha una rilevanza sul processo decisionale, in quanto nessuno di questi ex-alti ufficiali siede al tavolo del governo. Anzi, il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane, Benny Gantz, ha ricordato che questi suoi ex-colleghi non possono disporre di un quadro sufficientemente aggiornato della situazione. Il che significa, che Israele ritiene da un lato che la minaccia iraniana, visto anche il sostanziale stallo dei negoziati in corso con l’Iran, non sia stata ridotta; e che, d’altra parte, la capacità militare israeliana sia oggi stata sufficientemente potenziata.
In ogni caso, la decisione di colpire emanante dal governo avrebbe carattere di piena legittimità e quindi un’eventuale opposizione alla guerra dei militari, ad esempio con dimissioni di alti ufficiali, è oggi impensabile.
Quanto al fronte interno, nonostante i gravi conflitti sociali in corso, non rappresenta un elemento di rischio in caso di attacco all’Iran: il ministro della difesa Barak si è infatti lasciato sfuggire, forse volutamente, che a suo avviso un eventuale conflitto non costerebbe ad Israele più di 500 vittime, nonostante le stime di circa 60.000 razzi a disposizione in particolare di Hezbollah.
Del resto, Netanyahu e Barak sono oramai convinti che le sanzioni economiche non siano mai state uno strumento risolutivo e che anche le attività terroristiche sviluppate in Iran contro il regime e contro il programma atomico abbiano ormai raggiunto il loro possibile massimo effetto, avendo provocato certamente gravi danni all’Iran ma senza giungere né all’interruzione delle attività nucleari né tanto meno al rovesciamento del regime.
Lo Stato ebraico poi si ritiene oggi molto più sicuro di un tempo, dato che la crisi siriana sta oramai chiaramente comportando la disgregazione dell’ultimo Paese confinante che non avesse fatto ancora pace con Israele; il supporto dei cosiddetti Paesi arabi moderati del Golfo ai gruppi della guerriglia che puntano al rovesciamento di Assad, garantisce la fine della collaborazione fra Siria ed Iran nel possibile dopo-Assad; la stessa Turchia sembra avere completamente dimenticato l’incidente della Freedom Flottilla e appare interessata ad esercitare sulla Siria del futuro un’influenza che, almeno inizialmente, non potrebbe essere ostile ad Israele; la polverizzazione politica dell’Iraq e la perdurante instabilità in Egitto ed in Libano – sono tutti fattori che pongono lo Stato ebraico al sicuro lungo i propri confini e sostanzialmente nell’intera regione.
Uno o più atti terroristici come quello di Burgas potrebbero quindi fornire allo Stato ebraico la necessaria legittimazione immediata per colpire militarmente l’Iran, aprendo quella fase di guerra aperta sulle cui conseguenze per il Medio Oriente e per la pace nel mondo ci stiamo interrogando da alcuni anni.
Print Friendly, PDF & Email