Papi, Re e Lavoratori

La nostra abitudine mentale a vedere gli avvenimenti in sequenza, ci rende spesso difficile la sintesi che a volte potrebbe rivelarsi illuminante per comprendere il nostro tempo. Quando poi degli avvenimenti si impadronisce la forza spettacolarizzante dei mass media, le astuzie dell’intrattenimento ci distraggono subito e ci allontanano, spesso definitivamente, dalla conoscenza del presente che potrebbe scaturire dai nudi fatti.
Negli ultimi giorni abbiamo così avuto la possibilità di assistere ad una grande sintesi della storia, della cultura, del modo di essere dell’Occidente, di tutto quello che esso ha rappresentato per l’evoluzione storica dell’umanità: pensiamo alla sequenza dello sposalizio dell’erede al trono inglese, monarchia imperiale per eccellenza dell’Occidente moderno, sotto il cui dominio si è creato quel mondo globalizzato di cui si parla tanto oggi; pensiamo alla beatificazione del pontefice Giovanni Paolo II, il papa la cui vita ha meglio rappresentato la somma di politica, religione ed eredità romanistica delle Chiese moderne; la celebrazione mondiale del 1° maggio come "santificazione" del Lavoro, una festa che non sarebbe stata mai possibile nel mondo classico o nel Medio Evo europeo, ma nemmeno avrebbe potuto essere modernamente concepibile in alcun luogo, ad esempio, dell’Asia.
Ritrarsi aristocraticamente dall’osservazione di questi eventi in quanto eccessivamente mediatizzati o scandalizzarsi per la loro commistione di mitico, sacro e profano così priva del sia pur minimo buon gusto – sarebbe un imperdonabile errore, ma solo ed unicamente per la ragione che abbiamo appena detto. Giacché quello che non può sorprenderci più di questi eventi, se così visti, è il fatto che milioni di persone si identifichino così facilmente con uno o più di essi, trovandovi qualcosa di interiormente importante per se stessi: basterebbe osservare le colonne di persone di ogni età, provenienza, sesso e razza in marcia per le vie di Roma in questo fine settimana. Non sono tutti questi essere umani ugualmente in pellegrinaggio per trovare un sostegno dell’anima, siano essi diretti a Piazza S. Pietro oppure a Piazza San Giovanni?
Eppure, quando ci si sofferma con attenzione su queste manifestazioni di massa, non si può non coglierne l’intima vacuità, la distanza dal mondo quotidiano, la sostanziale inadeguatezza rispetto al nostro tempo: tutti e tre questi eventi rivelano infatti, nonostante la poderosa "copertura" mediatica ad essi riservata, che nulla in essi è più realmente vivo. La monarchia inglese è un relitto del tempo passato, di cui proprio le vicende matrimoniali del penultimo ultimo erede hanno messo a nudo tutto l’anacronismo; la Chiesa cattolica è ovunque in lotta con un mondo sempre più secolarizzato, pur facendo un uso sempre più intelligente dei suoi strumenti, mentre la spiritualità contemporanea saggia altre più difficili vie, tanto più invisibili mediaticamente quanto più genuinamente vissute; la festa dei lavoratori viene celebrata proprio quando le forze prepotenti del capitalismo finanziario aggrediscono da ogni parte il lavoro, in quanto fin ad ora ad esso è mancato il riscatto essenziale, quello dall’essere pensato quale merce.
Abbiamo quindi avuto davanti a noi in questi giorni in realtà immagini del passato, simboli depotenziati delle forze grazie alle quali l’Occidente ha potuto guidare il passaggio dell’umanità alla modernità, vale a dire nel regno della quantità del calcolo della tecnica, ma anche della piena coscienza individuale e della inesauribile aspirazione alla libertà. Le forze della religione rivelata, della permanenza del potere politico, dei rapporti economici. Il pericolo è però di prendere questi simboli per forze reali e di lasciarci trasportare da essi in una dimensione sognante, dato che rappresentano tradizioni decadute, rappresentano un passato, glorioso finché si vuole, ma polverizzato ogni giorno nelle forme che si aggregano nel presente.
Sono le forze che operano all’erosione del carattere umano tramite gli strumenti della scienza e della tecnica; sono i fantasmi ideologici e dogmatici del passato che assopiscono l’impulso alla libertà, impedendone il reale dispiegamento; è lo strapotere del denaro, divenuto potenza politica rivolta alla vera e propria conquista del mondo, indifferente ai diritti violati, al degrado, all’iniquità che porta a milioni di esseri umani.
È dinanzi a queste forze realmente in azione nel presente che dovremmo ripensare ad una vera festa del Lavoro: di un lavoro umano che richiede però oggi anche il ripensamento dell’organizzazione del corpo sociale, proprio a partire dall’Europa, per sottrarlo alla commistione fra potenza finanziaria, oligarchie politiche e dogmi intellettuali e religiosi – la patologia che è la causa vera e profonda dei problemi del nostro tempo. Se infatti al lavoro l’essere umano potesse applicare liberamente e consapevolmente le proprie forze interiori come al punto di incontro delle tre sfere dell’economia, del diritto e della cultura e da questo punto focale le sperimentasse nella loro diversità e complementarietà, creando di conseguenza strumenti autonomi per il loro governo, il progresso che l’Occidente ha recato al mondo non sarebbe stato vano, nonostante le sue iniquità, ed a buon diritto l’Europa avrebbe ancora molto da dire al mondo in nome della piena emancipazione dell’umanità.

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