La sentenza di Brescia e la verità sulla storia dell’Italia

Con la sentenza della Corte di Assise di Brescia crediamo di poter dire che si chiude definitivamente la stagione giudiziaria della strategia della tensione.
Questa sentenza può essere oggi valutata in due maniere: la prima, quella probabilmente più corrente, considera la sola verità giudiziaria, ragione per cui questa assoluzione non è altro che l’ennesima conferma della impossibilità di arrivare alla verità su quanto accaduto nel nostro Paese, visto che le inchieste sui principali atti terroristici della strategia della tensione non hanno ottenuto elementi sufficienti per la condanna di ideatori, mandanti e strateghi.
È evidente che questa posizione è quella che maggiormente favorisce l’azione di tutte quelle forze che, nel corso del quasi mezzo secolo di storia, hanno fatto di tutto proprio per impedire che si arrivasse all’individuazione dei responsabili di una strategia politico-militare che ha fatto vittime innocenti per obiettivi strategici che dovevano e devono tuttora restare celati al controllo del sistema democratico.
Ma vi è un secondo e diverso modo di considerare questa sentenza: quello cioè di chi ritiene che, al di là della verità giudiziaria, esiste ormai ben chiara e ampiamente documentata una verità storica, costruita attraverso documenti, anche giudiziari, che sono stati ormai prodotti in grande mole e che permettono di giungere a conclusioni assai rigorose, vorremmo dire ogni giorno più rigorose.
Nell’immensa quantità di testimonianze e di studi sulla strategia della tensione in Italia, ci limitiamo a ricordare due soli titoli, diversissimi per motivazione, biografia degli autori, collocazione politica e cronologica: la fondamentale testimonianza di Vincenzo Vinciguerra, col suo volume autobiografico Ergastolo per la libertà, pubblicato nell’ormai lontano 1989, e l’impeccabile indagine giornalistica, probabilmente la più seria condotta in argomento, di Paolo Cucchiarelli, Il Segreto di Piazza Fontana. Sono due testi che distano venti anni l’uno dall’altro, ma la cui lettura parallela è sufficiente a far comprendere che le certezze fattuali su quanto è avvenuto nel nostro Paese sono ormai molte e molto più chiare e stringenti rispetto ai dubbi che l’impossibile esercizio di una giustizia condizionata dai poteri forti ha ingenerato nel Paese.
Le certezze sono che l’Italia, dalla fine della Seconda Guerra mondiale, non ha più avuto una vera sovranità nazionale; che le forze politiche al potere nel nostro Paese hanno dovuto costantemente fornire una garanzia al maggiore alleato atlantico, gli Stati Uniti, sulla propria totale accettazione delle sue esigenze di controllo dell’area mediterranea; che gli apparati preposti alla difesa ed alla sicurezza del nostro Paese hanno di conseguenza operato con una "doppia fedeltà" in base alla quale, pur rispondendo formalmente alle leggi dello Stato italiano, in realtà obbedivano ad una ragion di stato che trova nei centri di potere atlantici la propria fonte di autorità; che tutti i tentativi di opposizione di sistema sono stati incanalati, controllati e utilizzati nella logica del "destabilizzare per stabilizzare", secondo l’originaria intuizione di Vinciguerra, dimostratasi corretta in ogni implicazione, resistendo al vaglio di più di venti anni di indagine storiografica e riuscendo a spiegare assai bene persino molte delle attuali anomalie del sistema italiano.
Non basta: questa verità storica ha trovato molte conferme in situazioni diverse anche fuori dall’Italia, dalla Turchia all’Argentina, dal Giappone alla Germania, permettendo di vedere, in prospettiva storica, proprio nella strategia della tensione una delle principali metodologie con cui si è attuata di fatto l’egemonia anglo-americana nel mondo, una metodologia che affonda le proprie radici nelle tecniche di disinformazione, deception e intelligence che sono state determinanti per costruire la vittoria alleata nel Secondo conflitto mondiale, con un livello di rilevanza pari a quello del complesso militare-industriale che di tale vittoria ha rappresentato il complemento di pura forza materiale. I protagonisti di quella vittoria segreta sono stati infatti, nomi e fatti alla mano, gli stessi strateghi delle strategie della tensione costruite durante la Guerra Fredda ed oltre, con una continuità ininterrotta, limiti fisiologici a parte, fino ai giorni nostri.
Siamo anche fortemente convinti del fatto che questa impostazione operativa di fondo rappresenti tuttora una caratteristica essenziale e caratterizzante del modus operandi delle potenze anglo-sassoni, in quanto la loro storia le ha condotte ad una superiore capacità di combinare reti economico-finanziarie con reti spionistiche, capacità tecnologica e industriale con raffinate tecniche di manipolazione delle coscienze, costruzione aristocratica delle élite politiche ed intellettuali con la capacità di amalgamare componenti sociali, politiche e culturali verso scopi chiaramente e univocamente definiti, grazie ad una profonda conoscenza delle forze portanti della modernità.
In questa luce, lo straziante sacrificio delle vittime innocenti di Piazza della Loggia così come di quelle di Ustica, di quelle dell’Italicus come del treno 904, della stazione di Bologna come di Piazza Fontana, assume un valore morale che non sarà più possibile disconoscere, indipendentemente dal fatto che un tribunale possa o meno render loro giustizia: rivelando al nostro popolo una via per la comprensione della nostra storia contemporanea, con il loro sangue innocente forniscono un insegnamento che sarà determinante per trovare una via di effettiva liberazione dell’Italia dai condizionamenti imposti da forze estranee alla nostra identità comune.
Centocinquanta anni dopo la nostra unità nazionale, l’Italia può fare a meno di verità giudiziarie ma non di una comprensione effettiva della sua storia. Un popolo, per considerarsi tale, ha infatti bisogno di verità sulla propria storia e quelle vittime innocenti ci hanno preparati ad accoglierla.

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