Medio Oriente, già dissolto il miraggio di pace

Il 28 settembre di dieci anni fa in Palestina scoppiava la Seconda Intifada, la rivolta dei giovani Palestinesi contro l’occupazione israeliana: da allora, il conflitto in Terra Santa ha causato la morte di 6.866 palestinesi, di 1.100 israeliani e di altre 80 vittime, che si aggiungono a quelle del mezzo secolo precedente, senza contare le vittime dell’attacco israeliano contro la striscia di Gaza del dicembre 2008. Può essere questa quindi un’occasione opportuna per fare il punto sulla situazione in Medio Oriente.
Il primo aspetto da considerare sono ovviamente i colloqui tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese, sui quali gli Stati Uniti di Obama sembrano avere molto investito, come dimostrano le parole del capo di stato americano all’assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso 23 settembre. Un discorso segnato dalla polemica assenza della delegazione israeliana che la stampa internazionale, su suggerimento degli addetti stampa israeliani, ha cercato di minimizzare, mentre ne era evidente la motivazione, vale a dire che il governo israeliano non intendeva accogliere la richiesta, formulata in termini assai espliciti da parte di Obama, di prolungare il congelamento degli insediamenti dei coloni ebrei in Cisgiordania, in scadenza per la fine di settembre:
"Sappiamo che ci saranno delle prove lungo il percorso e una di queste si sta avvicinando – ha detto Obama. La moratoria degli insediamenti israeliani ha creato un fatto nuovo sul terreno e ha migliorato l’atmosfera in vista dei colloqui. La nostra posizione su questo punto è ben nota. Crediamo che questa moratoria debba essere prolungata".
Evidente la diplomatica valutazione di Obama sulle ragioni della moratoria, proclamata nel novembre 2009: in realtà, sappiamo che nel corso del 2010 sono state demolite 82 case nel centro storico di Gerusalemme, per fare spazio a nuove abitazioni per gli Israeliani, portando a 662 le abitazioni distrutte negli ultimi dieci anni, mentre, durante il governo Netanyahu, è stata approvata la costruzione di 19.000 nuove unità abitative negli insediamenti dei coloni in Cisgiordania ed è già pronto un piano per altre 3.900 abitazioni.
Lo scorso 25 settembre la moratoria è puntualmente scaduta senza che il governo israeliano abbia comunicato alcuna ulteriore decisione, nel generale tripudio dei coloni.
"Oggi è finita, ha dichiarato uno dei loro leader, Dani Dayan, e faremo di tutto per avere la certezza che non accada mai più. Torniamo con energie rinnovate e una nuova determinazione a popolare questa terra".
La decisione del governo israeliano giunge quindi come una doccia fredda sui negoziati ed uno schiaffo esplicito ai desiderata americani, nonostante le lettere che Obama avrebbe fatto pervenire sia ai palestinesi che agli israeliani proponendo specifiche garanzie da parte degli Usa, che si troverebbero a diventare così ben più di un onesto mediatore.
Le ragioni di questa sostanziale indifferenza da parte israeliana alle pressioni americane sono state del resto ben riassunte in un’analisi giornalistica che ha fatto infuriare i media israeliani: secondo la rivista americana Time, in recenti sondaggi solo l’8% degli Israeliani ha definito la pace con i Palestinesi la questione più urgente. I Palestinesi del resto non rappresentano più un problema per la sicurezza dello Stato ebraico e questo anche grazie alla costruzione del muro di separazione con la Cisgiordania che, secondo un ex negoziatore israeliano citato dalla rivista americana, "avrebbe mandato i Palestinesi sulla luna", ovvero sia li avrebbe definitivamente allontanati dalle frontiere dello Stato ebraico. Ma non è solo il muro a garantire questa situazione: negli ultimi tempi, le forze di sicurezza del primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Salam Fayyad, avrebbero arrestato oltre 300 militanti di Hamas in Cisgiordania, a tutela dell’egemonia dell’Anp, una politica che certamente non può dispiacere a Israele.
Quanto alla striscia di Gaza, lo Stato ebraico, nell’indifferenza della comunità internazionale, tutta concentrata sui negoziati di pace, oltre ad avere superato senza danni la crisi conseguente alla strage della Freedom Flottilla, continua ad usare la propria forza militare senza limitazioni, come lo scorso 27 settembre, quando ha lanciato un ennesimo bombardamento, uccidendo tre militanti delle Brigate Al-Quds presso il campo profughi di Al-Burij, nell’area centrale della Striscia.
Se quindi oggi la soluzione della pluridecennale questione della pace in Palestina è un obiettivo vitale per Obama, per risalire la china della disastrosa situazione in cui versano gli Usa in Medio Oriente dopo un decennio di conflitti (Iraq in mille pezzi, fallimento militare in Afghanistan, implosione in corso del Pakistan, peggioramento delle relazioni con la Turchia, necessità di aumentare le forniture militari a Israele e ai Paesi del Golfo Arabico), non lo è affatto per Israele: secondo Tamar Hermann, studioso israeliano di scienza della politica, che ha analizzato gli atteggiamenti dell’opinione pubblica israeliana nei confronti delle trattative di pace dal 1994 ad oggi, "i Palestinesi non sono più visti come una minaccia strategica, ma come una seccatura sì".
Ciò significa che Israele può a questo punto concentrarsi totalmente sull’ultima questione rimasta aperta sul piano strategico, prima di poter affermare senza appello la propria egemonia in Medio Oriente, dopo l’eliminazione uno ad uno di tutti i suoi avversari nel corso degli ultimi sessant’anni: l’Iran.
Su questo punto, è opportuno ricordare che la guerra contro l’Iran è già iniziata lo scorso 15 settembre, anche se pochi se ne sono accorti: infatti si tratta di un conflitto in forma inedita, che ne fa il primo scontro cibernetico della storia, attirando l’attenzione degli specialisti, degli esperti di strategia e di pochi altri appassionati. Poco a poco infatti stanno filtrando notizie secondo le quali l’ultimo virus informatico diffusosi a partire da giugno nel mondo, Stuxnet, avrebbe molto a che fare con la situazione mediorientale in quanto sarebbe stato opera, fra gli altri, di esperti israeliani e avrebbe in realtà un obiettivo assai preciso: i sistemi informatici del sistema industriale, e non solo, dell’Iran.
Il New York Times parla delle crescenti difficoltà nella gestione delle macchine per l’arricchimento dell’uranio nell’impianto di Natanz (che dal picco di 4.920 del maggio 2009 sarebbe sceso a 3.772 centrifughe lo scorso agosto, con una riduzione del 23 per cento, che, tuttavia, non avrebbe ridotto la capacità produttiva dell’impianto), che potrebbero trovare spiegazione in attacchi informatici, e fa esplicito riferimento alla creazione di apposite unità operative per la guerra cibernetica, la Unit 8200 israeliana e il neo-costituito Cyber Command attivato all’interno della National Security Agency (NSA) americana. Stuxnet potrebbe essere quindi la prima offensiva gestita da queste nuove unità.
"Stuxnet – scrive una rivista specializzata, è un pezzo di codice estremamente complesso e ripieno di caratteristiche avanzate, dicono gli esperti, un malware che è stato capace di sfruttare ben 4 falle 0 day di Windows, una delle quali ben nascosta all’interno dello spooler di stampa e nota pubblicamente da più di un anno. Il worm infetta le chiavette USB, gli hard disk ma è soprattutto progettato per instillare un vero e proprio rootkit [un programma creato per avere il controllo completo sul sistema senza bisogno di autorizzazione da parte di utente o amministratore] – il primo della sua "specie", suggerisce Symantec – nelle macchine di controllo dei processi industriali come quelle presenti nei comparti di produzione, nelle centrali energetiche/atomiche o sulle catene di montaggio".
Con qualche trionfalismo, il celebre sito Debka, da sempre vicino agli ambienti dell’intelligence israeliana oltranzista, parla anch’esso apertamente del primo attacco cibernetico ad uno Stato, che starebbe provocando gravissimi danni e serie preoccupazioni al governo iraniano, costringendolo a chiedere aiuto anche agli occidentali: avrebbe infatti colpito oltre 40.000 server iraniani, tra cui alcuni dei sistemi informativi del governo centrale del Paese. Il 27 settembre, l’agenzia ufficiale del governo iraniano Irna citava il vicedirettore della società pubblica iraniana che si occupa di tecnologia informatica, Hamid Alipour, secondo cui Stuxnet è "un virus mutante in grado di portare il caos nei sistemi informativi industriali".
In questo contesto, occorrerà prestare attenzione ai prossimi sviluppi della prevista visita del presidente iraniano Ahmadinejad in Libano, attualmente in calendario per il prossimo 13-14 ottobre, durante la quale il leader iraniano dovrebbe fare visita anche alle località del sud del Libano teatro del recente scontro in agosto fra Israeliani e forze armate libanesi: questo viaggio sarebbe al centro dell’incontro che il presidente siriano Assad sta effettuando a Teheran in queste ore, un viaggio che fa seguito ad un precedente incontro, avvenuto il 18 settembre scorso a Damasco, dove si era recato lo stesso Ahmadinejad.
"Pochi giorno dopo questo incontro – scrive Debka, fonti siriane hanno fatto trapelare la notizia che in questa occasione Assad aveva esercitato pressioni su Ahmadinejad affinché rimandasse il suo viaggio in Libano. Queste fonti non sapevano sul momento chiarirne la ragione. Ma il 1° ottobre, fonti siriane e libanesi hanno spiegato che le unità israeliane dislocate lungo la frontiera settentrionale al confine col Libano sarebbero state poste ad un elevato livello di allerta. Un portavoce delle forze armate israeliane (IDF) non ha smentito la notizia ma ha evidenziato che queste unità sono in allerta da tempo e stanno seguendo attentamente la situazione sul terreno. Consapevole delle pericolose tensioni che si stanno accumulando ai suoi confini, Damasco sta chiaramente dandosi da fare per mantenersi a distanza di sicurezza da ogni conflitto che potrebbe coinvolgere Iran, Usa e Israele".
Non è certo questo un quadro in cui si possa ragionevolmente sperare in una pace giusta e duratura per la Terra Santa.

Fonti:

K. Vrick, "Why Israel doesn’t care about peace", Times, 2 settembre 2010.

"An alarmed Iran asks for outside help to stop rampaging Stuxnet malworm", Debka, 27 settembre.

J. Markoff, D. E. Sanger, "In a Computer Worm, a Possible Biblical Clue", The New York Times, 29 settembre 2010

Stuxnet, il worm all’assalto del nucleare iraniano, http://punto-informatico.it/2998692/PI/News/stuxnet-worm-all-assalto-del-nucleare-iraniano.aspx

 

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