Posto fisso: tra il dire e il vivere

Tremonti si esprime favorevolmente al posto fisso; una frase, tra l’altro, espressa in un contesto molto più ampio. Le vestali del neoliberismo si stracciano le vesti: come si permette, il ministro, di mettere in dubbio un postulato del libero mercato costruito con così grande fatica negli ultimi anni? E sì, perché è l’Italia del posto fisso che resuscita, l’Italietta del piccolo borghese, quello piccolo piccolo, come nella magistrale interpretazione di Alberto Sordi, ancora presente in moltissime famiglie italiane. La mamma che prega perché il proprio figlio possa trovare un lavoro "sicuro", il padre che si arrangia nel trovare i "giusti allacci": il suo datore di lavoro, gli amici e gli amici degli amici per far sì che il proprio rampollo possa inserirsi in un lavoro che abbia un futuro. E’ un classico. Un po’ sbiadito per la verità; con giovani sempre più liberi nelle loro scelte; che dispongono di reti amicali e conoscenze, spesso alternative e/o sconosciute alle loro stesse famiglie; disponibili alla mobilità; ben felici, spesso, di uscire dagli spazi angusti della loro provincia.
Tant’è, ancora presente.
Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il desiderio e l’esigenza da parte dei neofiti del lavoro di disporre di una maggiore stabilità. Se il posto fisso e intoccabile (oramai solo quello pubblico) è una iperbole della tutela oltre ogni limite, va da sé che anche il non sapere dove si lavorerà (ammesso che lo si possa fare) il mese prossimo è altrettanto l’iperbole dell’instabilità più illogica e avvilente che possa esistere.
La signora Marcegaglia difende la flessibilità affermando che tutti devono sentirsi imprenditori. Belle parole, tanto più se a pronunciarle sono persone con solidissime posizioni economiche, redditi con molti zero, conoscenze e legami con "gente che conta" in Italia e all’estero. In tal caso è bello e accattivante, estremamente libertario, sentirsi imprenditori di se stessi. La ricerca del posto fisso viene considerata come un comportamento retrò, sorpassato, provinciale. In questa posizione la signora Marcegaglia viene seguita da quei giovani "lanciati" nel mondo del lavoro: quelli che dispongono di un contratto con primarie istituzioni finanziarie, corporations, prestigiosi atenei. E’ vero che i loro contratti sono legati al gradimento del datore di lavoro che in qualsiasi momento può pronunciare la fatidica frase "sei fuori", ma è pur vero che molti di questi yuppies guadagnano in un anno quello che altri non riescono a percepire in una vita lavorativa. E’ facile anche in tal caso accettare la flessibilità. Infine ci sono gli intellettuali; giornalisti, insegnanti, economisti, studiosi della società e della politica. Anche loro (alcuni) esaltano il "sano spirito imprenditoriale" del costruirsi da sé, con frasi ad effetto e con parole roboanti. Ma anche questi signori parlano dall’alto di una posizione solida e con la possibilità di scegliere tra alternative, tutte valide e piene di riconoscimenti extrareddituali.
Ma non tutti dispongono di entrature ad alto livello, formazione ed esperienze di primo piano. Pure costoro, tuttavia, hanno diritto a vedere il mondo in modo un po’ più rosa di quello attuale. Guadagnare mille euro al mese non è da privilegiati. Almeno diamo loro la possibilità di poterci contare per tempi congrui.
Signora Marcegaglia, per poter capire meglio quello che lei non sa solo grazie ad una nascita fortunata, si metta nei panni di una giovane neolaureata (senza agganci e conoscenze), di una impiegata che deve pagare il mutuo e provi a vivere per cinque sei mesi in queste condizioni senza nessun aiuto e senza l’intervento diretto o indiretto o casuale di un papà, di amici o di uno dei suoi (suppongo) numerosi conti corrente. Vedrà come la baldanza del "sano" individualismo anglosassone si assottiglierà mano a mano che proverà sulla sua pelle i morsi delle ingiustizie, la durezza di un sistema di lavoro sempre più orientato al risultato, la gelida accoglienza di una società in cui tutto costa, tutto ha un prezzo e ognuno vale per quello che appare e non per quello che è. Renato Pozzetto in uno dei suoi films si è "trasformato" da padrone in uno dei suoi impiegati ed ha capito tante cose. Chissà se anche per lei non sarebbe una esperienza interessante…

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