Dai Balcani al Caucaso

Non è ancora facile prevedere se l’offensiva in corso in Georgia da parte delle forze armate russe si limiterà a infliggere un colpo decisivo alla politica di “riunificazione nazionale” del presidente georgiano Mikhail Saakashvili o se prelude ad una risistemazione con la forza di tutto il quadro geo-strategico del Caucaso.
Crediamo sia importante in questo momento indicare alcuni elementi per cui questo conflitto, apparentemente simile alle antiche abitudini delle guerre di confine della Russia imperiale, rappresenta un elemento di rilievo per i prossimi anni.
In primo luogo, la Russia ha inteso dare un segnale forte all’Occidente, agli Usa ma soprattutto all’Unione Europea, che non accetterà altri passi avanti della Nato lungo confini considerati di suo interesse vitale: vale per l’area caucasica, ma vale sicuramente anche per l’Ucraina. Fortemente enfatizzato a livello diplomatico quando gli Usa hanno iniziato a mettere in piedi un sistema antimissile ai confini europei della Russia, questo messaggio assume ora, attraverso l’uso massiccio e contro-offensivo di forze militari convenzionali, il valore di un monito di cui la comunità internazionale non potrà non tenere conto. La Russia non sembra più disponibile ad accomodamenti su questo punto. Colpendo il più “orientale” dei potenziali nuovi membri della Nato, Putin ha tracciato una linea di demarcazione molto chiara: non plus ultra.
In secondo luogo, la Russia dimostra di non avere scherzato nemmeno quando aveva ripetutamente ammonito gli Europei che la soluzione del riconoscimento della piena autonomia politico-territoriale del Kosovo le concedeva di fatto mano libera rispetto a entità politiche come la Ossetia del Sud, l’Abkhazia e la Trans-nistria, storicamente e politicamente legate alla Russia e tuttavia inglobate in entità “nazionali” che miravano a riassorbirle. Da questo punto di vista, la risposta diplomatica dell’Occidente si troverà ad essere necessariamente assai debole, vista appunto la cattiva coscienza di quanto azzardatamente e arrogantemente compiuto in Kosovo.
In terzo luogo, un uso della forza così determinato, in coincidenza con i giochi olimpici (tradizionalmente momento di tregua internazionale), rivela che la Russia, oltre a sentirsi politicamente giustificata dalle troppe intemperanze politiche e militari della Georgia (in realtà attività militari erano in corso nell’Ossetia del Sud dai primi dello scorso luglio, senza che se ne possa al momento attribuire la “colpa” precisamente a uno dei contendenti), ha ben compreso che gli ultimi mesi della presidenza Bush rappresentano una finestra che si va spalancando per un generale regolamento dei conti a livello internazionale. Analisti del New York Times ipotizzano addirittura che la possibile mano libera lasciata alla Russia nel Caucaso possa costituire la contropartita concessa a Mosca dagli Usa per lasciare mano libera ad Israele nello scacchiere iraniano.
Ma questa lettura si presta a molte varianti: una Russia impegnata nel Caucaso potrebbe non essere facilmente in grado di opporsi ad operazioni “chirurgiche” in Medio Oriente. Ovvero la Russia potrebbe avere agito duramente nel Caucaso come monito ai falchi dell’Occidente cristiano-sionista: uno sguardo alla carta geografica mostra quanto le truppe russe siano vicine al teatro iraniano.
Infine, un’ultima osservazione: la complicata storia del mondo slavo, dai Balcani al Caucaso, si articola su di un tessuto intricato di comunità non coincidenti con confini nazionali chiaramente definiti, qualcosa che accomuna per altro questa parte dell’Europa ad alcune aree almeno del Medio Oriente. L’Europa, proprio come avvenne alla vigilia della Grande Guerra, avrebbe l’occasione per proporre un modello organizzativo innovativo, diverso da quello dello Stato Nazione territoriale, classicamente caratterizzante la sola periferia atlantica dell’Europa e da lì estesosi ovunque.
L’incapacità di fornire un nuovo modello, lasciando allora spazio ai “protettorati” e poi alla strumentale artificiosità dei Quattordici Punti del presidente Wilson, ha creato le premesse per due terribili guerre mondiali.
Sarebbe il momento, quando si parla del futuro dell’Unione Europea, di rammentare proprio il fatto che uno dei suoi compiti storici è proprio quello di “inventare” nuove forme di organizzazione delle società avanzate: indicazioni in base ai quali riaprire la discussione, del resto, non mancano.
Quali nuovi terribili conflitti stiamo aspettando, per riprendere questo come un nostro compito prioritario?

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