Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti

STATO DELL’INFORMAZIONE. Dopo la sonora bocciatura ricevuta dal sistema dell’informazione italiana da parte della ricerca di "Reporters Sans Frontières" sulla libertà di stampa che nel 2008 ci classifica al 40° posto dopo Ecuador, Paraguay, Sudafrica e Benin, la nuova ennesima fatica di Marco Travaglio cala un decisivo colpo di mannaia sulla (residua) credibilità dell’informazione nel nostro Paese.

I FATTI SEPARATI DALLE OPINIONI. Secondo l’autore, nella ideale aspirazione di ogni giornalista esiste una chiara dicotomia: quella che separa i fatti dalle opinioni, tuttavia nella esperienza quotidiana di chi scrive, racconta o informa è impossibile mantenere le due cose separate, perché la formazione culturale, le idee personali e le simpatie (anche inconsce) condizionano inevitabilmente il proprio lavoro.

L’IMPARZIALITA’ DEL GIORNALISTA. Quello che conta, secondo Travaglio, non è né l’obiettività (per i motivi di cui sopra), né la neutralità ("solo i morti sono neutrali"), ma l’imparzialità, ovvero la capacità di raccontare i fatti seguendo la regola anglosassone delle quattro "w", ovvero who (chi), what (cosa), when (quando) e where (dove).

IL PLURALISMO INFORMATIVO. I differenti resoconti di uno stesso evento non costituiscono di per sé l’accettazione della relatività informativa ma bensì un arricchimento (pluralismo), se chi scrive è in buona fede e rispetta il nucleo centrale dell’avvenimento.

IL CERCHIOBOTTISMO. Nel libro si pone l’accento sulla tendenza tutta italiana che hanno molti giornalisti di praticare il cosiddetto "cerchiobottismo" (dare cioè come si suol dire, un colpo al cerchio e l’altro alla botte, per non scontentare nessuno), operando già intrinsecamente una personale scelta nel taglio da dare alle notizie, valutandone i potenziali effetti e rinunciando in partenza al proprio dovere di raccontare i fatti e commentarli usando sempre lo stesso metro.

L’APPARTENENZA. Nel marasma tutto italiano della infinita e autoreferenziale discussione politica ciò che conta in realtà è la appartenenza del cronista, vera o presunta che sia, non i fatti raccontati, tanto se non si è schierati si viene comunque etichettati indipendentemente da ciò che si scrive.

CANE DA GUARDIA DEL POTERE… Citando alcune grandi firme del nostro panorama giornalistico, tra cui ovviamente i mostri sacri Indro Montanelli, Giorgio Bocca ed Enzo Biagi, Travaglio pone accanto a loro giornalisti come Gian Antonio Stella del Corriere della Sera (coautore insieme a Sergio Rizzo del fortunato best seller "La Casta"), tra i pochi in grado di porsi come "cane da guardia del potere" e non come "cane da riporto", contestando ai potenti, di destra o di sinistra, una serie di fatti oggettivi. Chi si comporta così non è un "voltagabbana" che cambia idea per stare sempre dalla parte giusta ma è qualcuno al di fuori delle parti per "controllare il potente di turno e tenergli il fiato sul collo per conto dei lettori".

…O CANE DA RIPORTO? Un esempio indubbiamente negativo di giornalista (giornalista?!?) è quello di Bruno Vespa, sacrestano della quotidiana liturgia politica in seconda serata; egli propone, mescolando politica, fatti di cronaca e di costume in un melange indigesto e superficiale il cosiddetto infotainment (informazione e intrattenimento).
In una trasmissione surreale già dal titolo (porta a porta, come se si trattasse di vendere qualcosa…) il surreale presentatore fa accomodare nel suo salottino, sulle note di Via col Vento, politici ed attori, vallette e giornalisti, tutti insieme appassionatamente.
Nel pianerottolo vespiano (o vespasiano) la politica cede spesso il passo alla cronaca nera, con tanto di raccapriccianti dettagli e maniacali quanto sconclusionate ricostruzioni.
Quando poi a tenere banco sono le vicende della politica di casa nostra, le opinioni più apprezzate ed autorevoli sono quelle di persone che nella migliore delle ipotesi non sono assolutamente a conoscenza dell’argomento trattato.

L’ARTE DEL DIVERSIVO. La cosiddetta arte del diversivo poi, il parlar d’altro, è in assoluto il miglior modo per oscurare notizie scomode, e in questo Bruno Vespa è senz’altro impareggiabile maestro, proponendo argomenti "leggeri" in concomitanza a fatti spinosi che evidentemente non devono essere approfonditi, in ossequio alle forze politiche che lo tengono a galla assieme ai suoi imperdibili reportage da Cogne, roba da Pulitzer.

TELEVISIONE (E) POLITICA. Marco Travaglio sa che l’informazione, senza farne mistero alcuno, passa essenzialmente per il media televisivo, perlomeno la parte più rilevante, quella che viene per così dire recepita in maniera meno approfondita e più distratta rispetto al lettore del quotidiano o periodico ed anche rispetto al navigatore internauta, presenza minore fra questi soggetti.
Se a questo aggiungiamo che tre delle sei principali emittenti nazionali sono in mano all’attuale Presidente del Consiglio e che le altre tre, di parte pubblica, sono in realtà, per mezzo del suo principale azionista il Ministero delle Finanze in mano ai partiti politici, il quadro è presto delineato.
In questa triste situazione affiora poi un nuovo inquietante elemento: i giornali stanno ormai inseguendo i modelli imposti dalla televisione quanto a forme, contenuti e protagonisti.

COMUNICAZIONE POLITICA. Il modello di comunicazione politica è un mix di conduttori zerbino che "confezionano le trasmissioni su misura" ai loro ospiti, concordando preventivamente con loro le domande e gli eventuali ospiti da invitare; le domande non devono essere troppo dirette, occorre lasciar parlare i politici senza incalzarli, insomma non bisogna fare i giornalisti, bisogna fare i "sarti".
Il modello di par condicio imperante è il sempiterno metodo del "panino" tanto in voga nel cosiddetto servizio pubblico (un terzo dello spazio al Governo, un terzo alla opposizione, un terzo alla maggioranza).

CONCLUSIONI. Travaglio conclude il suo sconsolante elenco di esempi di disinformazione, citando casi eclatanti che vanno dalla presunta pandemia aviaria al caso Buttiglione fischiato al Parlamento europeo, augurandosi che il giornalista italiano possa riscoprire la propria missione, liberandosi dai lacci che molto spesso si crea da solo, "senza pensare di voler cambiare il mondo o di far vincere le elezioni a Tizio o Caio", ma "raccontando i fatti. Possibilmente tutti. Possibilmente veri."

Piccola galleria di citazioni:

"Non è la libertà che manca: mancano gli uomini liberi".   
Leo Longanesi

"La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi".
Indro Montanelli

"C’è chi nasconde i fatti perché trovare le notizie costa fatica e si rischia persino di sudare"
"C’è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell’editore stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione"
"C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, dove s’incontrano sempre leader di destra e leader di sinistra, controllori e controllati, guardie e ladri, puttane e cardinali, principi e rivoluzionari, fascisti ed ex lottatori continui, dove tutti sono amici di tutti ed è meglio non scontentare nessuno"
"C’è chi nasconde i fatti perché confonde l’equidistanza con l’equivicinanza"
"C’è chi nasconde i fatti perché <<hai visto che fine han fatto Biagi e Santoro?>>"
"C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti è più difficile voltare gabbana quando gira il vento"
"C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, <<c’è gente che pagherebbe per vendersi>>".
Marco Travaglio

MARCO TRAVAGLIO:  "LA SCOMPARSA DEI FATTI"
Sottotitolo: "Si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni"
Editore: Il Saggiatore – 2007
Collana: Infrarossi.

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