Grandi banche, enorme potere

Un sistema in veloce mutamento. E’ recente la notizia che l’olandese Abn Amro Bank e l’inglese Barclays hanno raggiunto un accordo per una fusione societaria tale da creare il quinto gruppo bancario più grande al mondo. Per la verità questa notizia risulta già superata dagli eventi  a causa della recente "manifestazione di interesse" (26 aprile)  per l’acquisto della banca olandese espressa da un gruppo di istituti di credito capeggiati dalla  Bank of Scotland. Chi vivrà vedrà…
Accanto al  matrimonio bancario nel nord Europa (qualunque sia il vincitore dell’operazione), sta prendendo forma un’altra operazione in grande stile  nell’area mediterranea: Unicredito (Italia) ha preso contatti con Société Générale (Francia) per un eventuale fusione.
Parlare in questi tempi di  fusioni, scalate di Borsa, è cosa abbastanza normale. Tuttavia, in particolare per il settore creditizio, sarebbe opportuno fare attenzione a qualche dato quantitativo che ci dovrebbe far riflettere  su quanto sta accadendo in Europa e nel mondo.

Il controllo dell’economia. Per tornare ai nostri personaggi, Abn Amro Bank ha una capitalizzazione (1) di circa 68 miliardi di euro e la Barclays pari a 71. Unicredito e Société Générale rispettivamente 77 e 67 miliardi. L’eventuale fusione tra queste banche porterebbe alla creazione di due nuovi gruppi con una capitalizzazione  di circa 140 miliardi di euro ciascuno che le posizionerebbe in ambito UE al secondo e terzo posto. A livello mondiale la classifica cambierebbe di poco: quinto e sesto.
A titolo informativo, i giganti del credito che dominano la scena mondiale sono: Citigroup (193 miliardi di euro), Bank of America (168), ICBC (161), HSBC (159), JP Morgan (134), China Construction Bank  (103), UBS (101), Royal Bank of Scotland (94), Bank of China (93).
Queste non sono solo grandi banche, ma anche grandi aziende. Basti pensare che nella classifica della rivista Fortune  la più grande azienda al mondo dispone di un valore di borsa corrente pari a circa 300 miliardi di euro.
Ma una banca si differenzia dalle altre aziende per una sua intima peculiarità: essere intermediario di denaro. Ciò le consente (a differenza di qualsiasi altra tipologia di azienda) di controllare una quantità di ricchezza (e quindi potere)  enormemente superiore ai dati che normalmente vengono considerati per determinare la dimensione di una azienda (fatturato, numero di dipendenti, capitalizzazione di Borsa).
A tale  riguardo è sufficiente questo esempio: il gruppo Unicredito con 142.000 dipendenti ed una capitalizzazione di 77 miliardi di euro ha una raccolta di danaro pari a 441 miliardi e impieghi (prestiti) per 495 miliardi. La somma di queste due attività è pari (dati 2006) a 936 miliardi di euro. Questo importo è enorme, ed in termini assoluti non vi sono dubbi.
Proviamo a comprenderlo meglio con qualche confronto.
Per esempio, il prodotto interno lordo a prezzi di mercato dell’Italia (ottava potenza  economica mondiale)  è ammontato  nel 2005 a 1352 miliardi di euro, quello della ricca Olanda, con oltre 16 milioni di abitanti, è risultato  pari a ca. 500 miliardi,  mentre il Messico, paese in cui vivono 103 milioni di abitanti, ha conseguito un PIL di oltre 620 miliardi di euro.

Una banca… uno Stato. Da questo confronto si constata che il controllo di ricchezza di una sola banca come per esempio Unicredito (al momento la quinta più grande della Unione Europea) si può realisticamente paragonare alla ricchezza prodotta da una intera nazione di circa 58 milioni di abitanti in un intero anno ed è addirittura superiore a quella di due paesi di rilievo nel contesto mondiale.
Certo, si può obiettare che il paragone non è fondato su dati tra loro omogenei.
Paragonare voci dello stato patrimoniale con altre del conto economico potrebbe far rabbrividire un coscienzioso contabile od un analista di bilancio.
Senza ricercare rocamboleschi paragoni tra voci di bilancio non omogenee, il mio fine è quello di  dare un senso ed un significato più direttamente percepibili alle tremende forze d’urto finanziarie ed economiche controllate da ristretti gruppi di persone: i componenti del consiglio di amministrazione di ogni singola azienda.
Per questo, a mio avviso, riflettere sui dati diventa sempre più un’attività di pensiero indifferibile. Questo perché non sempre siamo in grado di trasformare in vera informazione le notizie che costantemente ci piovono addosso, cioè di interpretarle con senso critico e nella loro effettiva potenzialità. Il vero problema è che   siamo  immersi in un crogiuolo di numeri, dati  e quantità. Ci si abitua. Questo ci rende distaccati e poco reattivi di fronte  agli eventi che in misura sempre più vasta si profilano nell’economia con le inevitabili e pesanti ricadute sulla società.

La corsa al gigantismo. La mergermania, ossia la corsa a fusioni e acquisizioni  che da  anni ha contagiato le principali piazze finanziarie del mondo, Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina, ecc. ha spinto alla forsennata crescita dimensionale delle aziende. 
I sostenitori  di questo fenomeno affermano che lo stesso è irreversibile in un sistema economico "globalizzato". Un’azienda per poter contare, essi sostengono,  deve disporre di dimensioni che le permettano di conseguire economie di scala significative, di essere presente con i  suoi prodotti presso il maggior numero di mercati, di  essere conosciuta da decine, centinaia, fino a miliardi di persone. La Coca Cola, la Microsoft, o le aziende che producono le più diffuse moto o autoveicoli costituiscono degli esempi emblematici.
Nel frattempo, però, a livello politico siamo rimasti agli stati nazionali. In definitiva mentre si è connaturato il concetto di azienda globale, non  si è evoluto quello di nazione. Il risultato è che accanto a giganti economici si contrappongono nani politici, anche in virtù delle differenti regole a cui l’ente pubblico e l’azienda privata rispondono.
Il primo è governato secondo una logica democratica e di condivisione dei valori e risponde del suo operato di fronte alla comunità, il secondo dispone di  organi direttivi  fortemente accentrati che  operano  secondo la logica del  profitto e rispondono solo ai diretti proprietari, quindi con potenzialità operative decisamente più veloci ed efficaci.
In questo contesto la grande dimensione consente a dei semplici soggetti privati di disporre di  un potere negoziale smisurato.
La banca, in particolare, dispone di tre temibili strumenti: informazione, capitali liquidi, capacità di trasferimento e di impiego immediato di risorse finanziarie ovunque il suo utilizzo sia più lucroso.
Tutto ciò costituisce  un potente elemento di pressione verso  comunità, aree territoriali e stati nazionali.
In questo quadro il soggetto politico si trova a giocare, spesso, la partita del più debole, malgrado che  esso disponga del potere di produrre la norma giuridica, strumento, tuttavia sempre più limitato nella sua efficacia a causa della costante riduzione della sovranità della nazione sempre più vincolata da  norme e impegni assunti a livello internazionale.
Per quanto riguardo l’Europa, ricordo che al momento della costituzione dell’unità monetaria molte voci si levarono affermando che la politica doveva crescere insieme all’economia. In sostanza  che l’integrazione economica  doveva trovare un corrispondente rafforzamento nelle istituzioni politiche.
L’esigenza è ancora più sentita oggi:  di fronte a queste grandi operazioni transnazionali che riguardano  banche e aziende di qualsiasi tipologia,  è necessaria l’esistenza di un potere politico effettivo che possa rappresentare  sia un punto di riferimento  ed una guida, ma anche un soggetto in grado di temperare  interessi  e mire economiche che potrebbero essere addirittura contrari a quelli della società. Questo ragionamento vale, ovviamente,  anche al di là dei confini europei.

Limiti al potere delle banche. Lo sbilanciamento di potere a favore di soggetti privati, in considerazione dell’evoluzione evidenziata negli ultimi anni, può e deve essere controllato e ricondotto a livelli più equilibrati.
Concretamente questo potrebbe avvenire mediante  l’introduzione di limiti alla dimensione degli istituti di credito, nel riconsiderare l’impostazione normativa della cosiddetta "banca universale" anche con il ripristino del principio di  specializzazione (perno dell’assetto bancario italiano dagli anni ’30 fino agli anni novanta).  Infine la banca centrale europea deve svolgere un controllo più diretto e stringente sulle strategie e sulla operatività delle  banche.
Per quanto attiene la Banca Centrale, ora guidata da una ristretta elite che opera in piena autonomia e decide sul futuro della intera Comunità Europea, essa deve essere ricondotta ad un  quadro normativo che preveda il controllo politico della sua attività.
 
E la politica? Malgrado che questi timori siano sempre più avvertiti, meraviglia l’assordante silenzio su queste problematiche  in sede politica ed istituzionale.
I Parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo sono disponibili a  lunghe diatribe per quanto concerne il rispetto dei diritti civili in Europea e nel mondo, la violenza negli stadi, i diritti degli omosessuali. Argomenti certo importanti e degni di attenzione.
Ma in queste sedi  tutto tace, o quasi, su quello che è e sarà la nostra società nel futuro. La sua struttura economico e sociale, il bilanciamento (vero) dei poteri, lo stesso futuro della democrazia (effettiva).
A questo proposito mi torna in mente l’aneddoto sulla caduta di Costantinopoli: mentre i turchi assaltavano le mura della città, nelle sedi del potere si discettava sul sesso degli angeli…

(1) Capitalizzazione è un termine usato nella finanza per indicare l’ammontare complessivo che si dovrebbe sborsare per acquistare il 100% delle azioni  relative ad una azienda. In altre parole il prezzo borsistico corrente di una azienda.

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