Profumo di Londra o Bazoli d’Italia?

Riportiamo l’articolo comparso su "Il Sole 24 Ore" di mercoledì 21 marzo:

"Nel modello americano, l’unica bussola è la continua crescita  di valore per gli azionisti – commenta il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli -, poi c’è il modello legato ad una visione europea più temperata del capitalismo, una visione più attenta alla responsabilità  civile dell’impresa verso i clienti e verso tutte le componenti aziendali, che spinge a farsi carico, quando occorre,  della responsabilità dell’interesse  generale del Paese".
Bazoli non lo dice, ma nel contesto italiano Intesa Sanpaolo rappresenta il modello europeo mentre l’esempio americano è rappresentato  dal gruppo Unicredito  guidato da Alessandro Profumo. E’ evidente che la filosofia del capitalismo "temperato"  di Bazoli ben convive con l’idea  di "banca al servizio del paese" dell’a.d.  di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, distanziandosi sempre più dall’ "americano" Profumo.
Quest’ultimo appare sempre più attento  alle evoluzioni europee  del business banco finanziario  e sempre meno attratto dalle dinamiche italiane.
Forse è solo un segnale di internazionalizzazione del gruppo, e non una presa di distanza dalla comunità finanziaria italiana, ma domani Profumo, per la prima volta nella storia del gruppo Unicredito, ha deciso di andare a presentare solo a Londra i risultati  del bilancio 2006. Chi avrà ragione tra  Bazoli e Profumo?  [fine dell’articolo, n.d.r.].

La visione etica della funzione economica in una società è organica alla crescita ed allo sviluppo della comunità stessa.
Per un soggetto economico, quale è una impresa, assumere "precise responsabilità verso il proprio paese" diviene anche il modo  per ricambiare quest’ultimo di aver creato le condizioni ambientali favorevoli al suo sviluppo, un "do ut des"  etico  che trova la sua giustificazione nella constatazione che una attività economica può nascere e svilupparsi solo in un contesto in cui cervelli, capitali, energie umane, organismi giuridici e  istituzionali, soggetti sociali (inclusa la stessa domanda del prodotto o servizio  offerto dall’azienda) possono insieme contribuire, in un rapporto organico e funzionale, a creare "valore".
Questo "valore" sotto il profilo giuridico appartiene agli azionisti, non v’è alcun dubbio. Ma in termini etici, il "valore" creato,  appartiene  alla intera comunità in cui l’impresa opera.
In tale contesto l’azienda che, sentendosi "parte di un tutto", si pone al servizio della comunità a cui appartiene, nel momento in cui questa richieda un suo intervento, assume un significato logico, un dovere appunto.
Senza dubbio la nascita delle multinazionali, fenomeno già  presente fin dai primi decenni del ventesimo secolo, ma progressivamente  sviluppatosi dagli anni cinquanta in poi e, successivamente,  divenuto permeante nell’era della globalizzazione fino a costituirne il simbolo, ha indebolito questo rapporto.
Malgrado ciò il cordone ombelicale permane.
Alcune volte la relazione stato/impresa  diviene espressione di interessi particolaristici di cui gli interessi  lobbistici e oligopolistici rappresentano le forme più virulente. In tal caso l’abbraccio tra la grande azienda e potere istituzionale può divenire fonte di problemi e costituire  un elemento esiziale per la stessa società.
In altri casi l’azienda può trasformarsi in strumento di una  volontà politica illuminata e volta al benessere pubblico, in tal caso assicurando al proprio paese sinergie e vantaggi per tutti.
Se un’azienda non sente più il diritto/dovere di appartenere alla comunità  nella quale  è nata o si è sviluppata,  rischia di divenire una realtà a sé stante senza una precisa identità.
Una organizzazione priva di radici e di riferimenti, che possono costituire nel tempo vincoli e legami, ma anche la fonte dalla quale acquisire stimoli, energia e perché no?, aiuti in caso di necessità.  In tal caso può divenire  espressione del puro interesse finanziario, fredda interpretazione di una economia che sostituisce l’impeto e la pulsione dell’atto produttivo così come  il desiderio di creare e di fare, con  una valutazione egoistica e distaccata della propria attività.
Il modello europeo risponde ad una missione sociale dell’economia più consona al nostro comune sentire di europei e di cittadini.
Profumo è un bravo manager, ma sarebbe auspicabile che non dimenticasse le sue origini.
Inoltre è stato eletto migliore manager europeo dell’anno grazie alla  esperienza professionale acquisita nel suo paese: l’Italia.

Print Friendly, PDF & Email