NÉ LEGGE NÉ ONORE

L’affare delle torture angloamericane in Irak è qualcosa di singolarmente importante per lo sviluppo futuro della coscienza dell’umanità contemporanea. Non sembri un’esagerazione.
I Paesi anglosassoni hanno presentato i propri interventi nelle due guerre mondiali del secolo XX come interventi del diritto contro la violenza, dei diritti umani contro l’autoritarismo, della civiltà fondata sulla legge contro la barbarie fondata sull’ideologia totalitaria.
Le loro vittorie sono state sempre coronate da atti politico-giudiziari come i processi di Norimberga, quelli ai capi militari giapponesi, fino a quello contro Milosevic, del quale, chissà perché, si è nel frattempo persa ogni traccia.
Le evidenze che stanno emergendo col Rapporto Taguba (disponibile sul nostro sito, sezione Documenti) e con quello della Croce Rossa Internazionale sono invece in flagrante contrasto con tutto quello che per oltre un secolo britannici e statunitensi hanno proclamato al mondo: per la prima volta dopo il Vietnam, si evidenzia platealmente il fatto che la loro azione militare non ha portato né pace né legge. Solo che questa volta, a differenza del Vietnam, non ci sono più schermi ideologico dietro cui potersi nascondere.
Lo scalzare questo alto piedistallo ideologico e propagandistico da sotto i piedi delle potenze anglosassoni non potrà non avere conseguenze epocali per l’intero Occidente, che ad esso si è per oltre un secolo politicamente ed idealmente appoggiato.
Indichiamo solo tre percorsi ovvi di riflessione.
Il primo, il fatto che il Rapporto Taguba, le foto, la massa di informazione mediatica che ci ha improvvisamente invaso (e non è che l’inizio), questi “pezzi di verità”, queste vere e proprie “prove” giudiziarie, vengono con ogni evidenza alla luce solo grazie al fatto che è in corso negli Usa una campagna elettorale la cui posta in gioco è altissima, trattandosi di una lotta feroce fra i più esclusivi circoli del potere mondiale, chiamati a contendersi il frutto della vittoria statunitense sul mondo, per il XXI secolo.
Non ci si ripeta che queste prove vengono alla luce dalla grande democraticità del sistema americano: se non ci fosse stata una lotta fra i grandi potentati statunitensi, avremmo avuto accesso alla verità assai più lentamente e con difficoltà. Lo dimostra il fatto che molte di queste informazioni circolavano fra i potenti dallo scorso autunno, senza che altri ne potesse sapere nulla…
Il secondo punto (e presto qualcuno, più autorevole di chi scrive, pensiamo comincerà a notarlo): queste violazioni dei più elementari diritti umani da parte anglosassone costringeranno prima o poi anche a rivedere quella comoda assegnazione del Male morale a tutti coloro che nello scorso secolo furono sconfitti dagli anglosassoni stessi: se la barbarie non è più una caratteristica specifica del Nemico dei Liberatori, occorrerà davvero cominciare a ripensare l’intera storia del secolo XX, a ripensarla, si badi bene, sul piano dei principi, proprio sul piano morale. Si tratta di un processo finora avviato sul piano documentale e delle ipotesi interpretative, che riceve ora tuttavia uno stimolo di natura più profonda e, diciamolo pure, più elevata: l’esigenza di capire davvero non potrà che trarne vigore.
Il terzo punto è ancora più radicalmente essenziale. L’Occidente delle rivoluzioni borghesi (dall’Inghilterra di Cromwell, all’Olanda, alla Rivoluzione americana, a quella francese) si è caratterizzato come civiltà giuridica per eccellenza, in questo coscientemente volendo riesumare, in una dimensione logico-razionalista, la romanità. Questa volontà di reincarnazione di della res publica dei Quiriti, prima, nelle grandi rivoluzioni del Seicento e del Settecento, dell’Impero augusteo, ora, nel Novecento – si è dimostrata un fantasma, in quanto fondata sul dominio del denaro e dell’interesse individuale invece che sulla coesione comunitaria sempre, pur faticosamente, espressa dall’intera civiltà romana.
Le torture inflitte ai prigionieri irakeni dimostrano che i razionali principi della civiltà giusnaturalista occidentale sono ormai stretti da un lato dall’imbarbarimento morale dei combattenti di ogni luogo e di ogni nazione, dall’altro dalle esigenze di efficienza (leggi rapidità e basso costo gestionale) del sistema della guerra industriale. Dunque, l’idea giusnaturalista della civiltà non ha abbastanza capito l’essere umano, per un verso, e, per l’altro, gli effetti della tecnica di cui si compiace.
Se questo è vero, l’Occidente, che pure ha popolato di codici il mondo, ha quindi definitivamente annientato quei codici d’onore tradizionali che soli potevano trattenere l’essere umano dall’avventurarsi nella barbarie (per diletto, per interesse, per fretta o per paura).
Con questa guerra irakena, l’Occidente si è gettato dietro le spalle l’ultima barriera che le restava dinanzi alla barbarie più nera, quella di una tecnica cieca che si somma allo scatenamento delle passioni individuali: il mondo dei mostri e mostriciattoli con cui giocano ignari i nostri figli non è mai stato tanto reale davanti ai nostri occhi come dopo questo episodio.
Non basterà certo un nuovo inquilino alla Casa Bianca o a Downing Street per costruire una nuova dimensione etica della civiltà, in grado di liberare l’uomo dai suoi mostri e ridare alla tecnica una sua serena dignità di strumento di progresso materiale. Ma il compito che gli avvenimenti dell’Irak indicano agli Europei non è niente di meno di questo.

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