Petrolio: quale futuro?

Il petrolio rimane uno dei temi più importanti e delicati del nostro Pianeta,
non fosse altro per il fatto che circa un decimo del PIL mondiale è riconducibile a questa risorsa naturale. Durante questi ultimi mesi, la quotazione del petrolio ha evidenziato un andamento imprevisto. Anziché una sostanziale diminuzione dai massimi raggiunti negli ultimi 12 mesi per effetto della guerra in Iraq, come paventato dagli analisti, la quotazione ha registrato un trend ascendente (34 USD al barile in questi ultimi giorni) che si pone ai livelli più alti dell’ultimo decennio.
Interpretare queste oscillazioni rappresenta un vero rompicapo. Ma al di là di valutazioni a carattere congiunturale e speculativo, se ne affacciano altre più complesse che, se fondate, potrebbero comportare rilevanti ripercussioni sull’economia del pianeta. L’intervista a Franco Bernabè, pubblicata da il “Il sole 24 ore” martedì 16 marzo e realizzata da Franco Locatelli, affronta con pacatezza questo delicato argomento. L’autorevolezza della fonte che già in altre occasioni (si veda il mio articolo “Il tesoro dell’Impero” pubblicato in questo sito nella sezione “Divulgazione”) ha espresso inquietudine sulla capacità produttiva (nonchè sulla reale consistenza delle riserve finora accertate) atta a fronteggiare la domanda di petrolio in continua crescita, dimostra l’urgenza e la necessità di elaborare una politica energetica a livello planetario che sia determinata a trovare delle valide alternative alle fonti non rinnovabili (petrolio, carbone, gas).
Ciò con lo scopo di evitare uno shock analogo a quello del 1973 e di fornire in termini ambientali una risposta valida e rispettosa per il futuro dei nostri figli.
Alla luce di queste riflessioni, anche l’ostinata decisione di muovere la guerra all’Iraq da parte degli Stati Uniti, può essere considerata un incastro funzionale, in un cinico puzzle che ha come posta in gioco l’egemonia mondiale.

Gli orizzonti inquieti del petrolio
di Franco Locatelli da Il sole 24 ore

ROMA – “Non credo che dietro l’angolo ci sia un nuovo shock ma ritengo che l’ impennata dei prezzi del greggio- che si mantengono su livelli storicamente elevati da quattro anni e che sono quasi triplicati rispetto al 1998- non sia una fiammata passeggera ma un segnale di inquietudine profonda, che attraversa gli scenari petroliferi e che il salto di qualità del terrorismo internazionale dell’11 Marzo rende ancor più allarmante”. Già amministratore delegato dell’Eni e di Telecom Italia e ora superconsulente della banca Rothschild, di cui è vicepresidente europeo, Franco Bernabè è uno dei maggiori conoscitori del mercato petrolifero ed è abituato a misurare le parole. Ma da qualche tempo scruta l’ orizzonte con grande preoccupazione. “ Non mi sono convertito al catastrofismo, che considero infondato- ma aggiunge- non mi sento nemmeno di liquidare con un’alzata di spalle i segnali che vengono dal mercato, gli effetti dei cambiamenti epocali in atto e gli allarmi che lanciano alcuni studiosi sul cosiddetto production peak, cioè la soglia oltre la quale la produzione di petrolio petrebbe smettere di crescere in linea con la crescita della domanda”.

Domanda: Bernabè, che riflessi avrà sul petrolio l’ escalation del terrorismo internazionale che l’ 11 Marzo ha di nuovo colpito al cuore dell’Occidente?
Risposta: Non credo che a breve avrà un impatto drammatico sull’economia e sui prezzi petroliferi, che hanno già scontato l’incertezza del mercato e della situazione geo-politica, ma sicuramente moltiplicherà l’ inquietudine che da qualche tempo pesa sul futuro del petrolio”.

D: Perché? R: Perché il terrorismo internazionale ha purtroppo dimostrato, l’11 Marzo come l’11 Settembre, di avere una strategia tanto folle quanto chiara, una diabolica lucidità nell’individuare gli obbiettivi e una capacità di intervento terribilmente efficace. E non v’è chi non veda come la destabilizzazione e la conquista dell’Arabia Saudita, che è il maggiore produttore di greggio del mondo e che detiene un quarto di tutte le riserve di petrolio, rischi fatalmente di diventare l’ obbiettivo centrale di un terrorismo di natura islamica che voglia piegare l’Occidente.

D: Lei però accennava prima ad altri elementi che turbano il mercato petrolifero: quali sono? Risposta: Ci sono altri due fatti che condizionano gli scenari internazionali del petrolio: 1. La crescita costante dei consumi americani che supera le disponibilità degli USA e aumenta la loro dipendenza dall’estero; 2. L’ inversione della posizione della Cina che da Paese esportatore diventa importatore netto di petrolio, e che rischia di esserlo sempre più a fronte dei colossali piani di modernizzazione e sviluppo che ha in programma. Se continua così-e senza considerare che anche l’India ha raddoppiato i suoi consumi di petrolio e che la crisi del Venezuela, che è il quinto paese produttore di petrolio, non è da sottovalutare-la Cina sarà il paese che in futuro condizionerà maggiormente il mercato internazionale del petrolio.

D: Questo vuol dire che anche per l’ Europa e per l’Italia torna in gioco la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi? R: A breve termine certamente no. I problemi riguardano le disponibilità e le riserve di petrolio nel medio-lungo periodo, tenendo conto che i consumi galoppano e che negli ultimi trent’anni è stato scoperto in tutto il mondo un solo giacimento gigante: quello di Kashagan. Tutto questo non basta a confermare il rischio di picco di cui parlano alcuni studiosi, soprattutto i geologi, di scuola americana e che ha indotto una pubblicazione autorevole e insospettabile come l’ ”Oil and Gas Journal”, che è l’organo mondiale dei petrolieri, ad aprire un approfondito dibattito sul possibile declino della produzione di petrolio.
D: Ma secondo lei è proprio inevitabile che prevalgano gli scenari più pessimistici? R: Naturalmente no, ma ignorare le incognite che affiorano all’orizzonte non aiuta a comprendere e risolvere problemi che sono molto complessi e molto difficili da governare, come quelli del petrolio. La stessa guerra in Irak si colloca all’interno di questi scenari.

D: Quali sono le condizioni per evitare il peggio? R: Sono essenziali la stabilità politica dell’Arabia Saudita e la pacificazione in Irak come effetti della sconfitta del terrorismo internazionale. La centralità dell’Arabia nella produzione e nelle forniture di petrolio all’Occidente è nota ma fondamentale è anche il ruolo che può giocare l’Irak, che ha giacimenti inesplorati e riserve di petrolio pari ad un ottavo delle disponibilità mondiali, e che potrebbero crescere in seguito alla riapertura del Paese all’esplorazione e allo sviluppo da parte delle compagnie internazionali. È evidente che se le forniture saudite ed irachene fossero ai massimi livelli, il rischio del picco petrolifero sarebbe destinato ad allontanarsi di molto nel tempo.

D: L’Italia è tra i Paesi occidentali più vulnerabili e meno autosufficienti sul piano energetico: che cosa può fare per ridurre la propria dipendenza dai rischi dei nuovi scenari internazionali? R: Non molto, ma sarebbe saggio lavorare ancora di più su una politica energetica oculata e su una politica estera che si fondi su un’attenta conoscenza dei progressi mediorientali e che faccia del nostro Paese un’interlocutore leale, ma anche intelligente ed attivo nei confronti degli Stati Uniti.

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