C. Kupchan, La fine dell’era americana

“Il solo fatto di possedere una potenza preponderante può recare ad una nazione molti più danni che benefici”.
Questa frase può essere considerata come uno tra i principi cardinali della visione geostrategica dell’autore in questo libro.
Ovviamente la tesi è riferita agli USA. Kupchan è un americano, seriamente preoccupato delle sorti di una potenza che raggiunto il suo acme, è destinata ad un futuro declino. Un declino che dovrà avvenire senza traumi, in modo da poter assicurare a questa super potenza la conservazione di un ruolo di primo piano in un contesto dinamico, dove altri importanti attori compariranno gradualmente sulla scena mondiale per assumere una posizione più influente.

Per contenere la perdita (per Kupchan inevitabile) dell’attuale posizione monolitica nello scacchiere mondiale, gli Usa dovranno modificare la loro politica estera passando da un arrogante unilateralismo, aggravato in taluni casi da palesi contraddizioni, ad un orientamento coerente e apertamente rivolto a stabilire un solido equilibrio tra le principali potenze internazionali che via via si affermeranno. Infatti il ricorso ai principi della superiorità militare chiaramente espressi nella strategia (resa pubblica nel 2001) del cosiddetto attacco preventivo hanno comportato una generale contrarietà verso gli USA da parte di numerosi paesi del mondo. Tale impostazione ha seriamente leso alcune alleanze su cui si fonda l’egemonia della superpotenza americana. Ad aggravare questo stato di cose concorrono inoltre decisioni incongruenti quali la mancata sottoscrizione per la messa al bando delle mine antiuomo, del Protocollo di Kyoto sul surriscaldamento del pianeta, il ritiro dal trattato ABM (missili antibalistici), l’opposizione alla proibizione totale delle esplosioni nucleari, nonché alla Corte Criminale Internazionale. Infine l’indisponibilità alla creazione di un organo di controllo per verificare la Convenzione del 1972 sulle armi biologiche.
Tutte decisioni, queste, assunte in modo unilaterale e con il deliberato scopo di non vincolare gli USA al fine di mantenere la piena sovranità del paese, ma che urtano e umiliano la coscienza e la sensibilità del resto del Mondo.

Un giudizio negativo, in definitiva, delle ultime Ammnistrazioni, in particolare la politica condotta da G.W. Bush rimproverate di non disporre di una visione globale e di lungo periodo; di un grande piano, come lo stesso autore sottolinea.
Kupchan ritiene che la mancanza da parte degli Stati Uniti di una chiara strategia a livello mondiale, debba essere fatta risalire al periodo della caduta dell’impero sovietico. Questi hanno assunto il rango di unica e indiscussa super potenza senza essere preparati ad un ruolo così impegnativo. Parte di questa responsabilità viene individuata anche presso i cosiddetti Think Tanks, abituali pensatoi di politica estera, ai quali per decenni tutti i Presidenti americani hanno fatto ricorso. Oggi gli stessi, secondo l’autore, risultano meno profondi nell’analisi e più orientati a sostenere interessi di parte.
Anche l’analisi delle principali teorie geostrategiche elaborate nel corso dell’ultimo decennio: da S. Huntington a T. Friedman, da F. Fukuyama a P. Kennedy a R. Kaplan fino ad arrivare a Mearsheimer, non sono in grado di fornire un assetto esauriente del futuro ruolo della potenza americana nel Mondo.

La Grande Strategia che dovrebbe essere realizzata dagli Stati Uniti per il 21° secolo dovrebbe esprimere un sano e coerente internazionalismo volto a legare in assetti stabili e duraturi i nuovi grandi protagonisti di questo secolo. L’equilibrio di potenza che si verrebbe a creare riprodurrebbe, anche se su scala maggiore, quello realizzato nel corso del 19° secolo con la Santa Alleanza dopo la Restaurazione del 1815 dove ogni Stato era pari agli altri. La mancanza di un paese egemone, unita ad una diplomazia dinamica riuscì ad assicurare all’Europa un periodo di pace e stabilità.

Forse andando più a fondo si potrebbe percepire il desiderio dell’autore di assicurare agli Stati Uniti qualche cosa di più del ruolo di un Pari. L’elaborazione e la concretizzazione di un Grande Alleanza farebbe comunque degli Stati Uniti lo Stato di riferimento con una posizione di prestigio e di guida, di fatto elevandolo a primus inter pares nel ristretto consesso a cui aderiranno le maggiori potenze del mondo. Non solo, tale vantaggio strategico sarà ancora più duraturo e stabile nel tempo se, fin da ora, gli USA riusciranno a realizzare solide istituzioni internazionali modellate sui principi e sugli interessi americani.

La tesi e le considerazioni fin qui esposte vengono sostenute dall’autore attraverso esempi e paragoni acquisiti dalla storia. In particolare le vicende relative all’Impero Romano e quelle dell’Impero Inglese. Non da ultimo le scelte strategiche fin qui condotte dall’attuale Impero: quello Americano.

Kupchan, inoltre, analizza gli ostacoli che potrebbero frenare o far fallire l’affermazione della politica multilaterale da lui stesso auspicata.
Tra questi viene indicata la globalizzazione, considerata nel lungo periodo un elemento pericoloso per il mantenimento della supremazia americana. Questa riflessione discende dalla constatazione che la globalizzazione ha finora costituito un mezzo estremamente efficace per realizzare gli interessi americani nel mondo. Tuttavia, questo fenomeno contiene in sé gli elementi adatti a velocizzare la diffusione nel Mondo di crisi regionali non adeguatamente controllate. Una eventualità ancora più grave potrebbe essere la crisi innescata dal cuore stesso della globalizzazione: gli USA. In tali casi gli Stati Uniti potrebbero reagire in modo irrazionale sotto il profilo strategico imboccando la strada dell’isolazionismo.
Analogo orientamento potrebbe concretizzarsi pure nel momento in cui gli USA, constatati gli scarsi risultati conseguiti e gli alti costi (economici e politici) sostenuti, trasformassero l’attuale politica unilateralista in modo altrettanto schizofrenico passando ad un rigido isolazionismo. In ogni caso, unilateralismo e isolazionismo esprimono ambedue delle patologiche crisi dell’internazionalismo americano con grave danno al suo potere ma anche alla stabilità dell’intero sistema mondiale.

Il libro prosegue con una attenta disamina della storia europea più recente che ha portato alla creazione della Unione Europea. Fornisce una rapido ma utile scorcio sui principi fondanti la società americana. Analizza inoltre le forze centrifughe e centripete che caratterizzano e influenzano la politica estera americana, con le sue contraddizioni ed i suoi atteggiamenti ondivaghi.

“Gli Stati Uniti non possono e non devono opporsi alla fine dell’era americana”.
Con sano pragmatismo e con lucido equilibrio, tenuto conto delle sue origini, l’autore comprende che ogni epoca è destinata a finire. Ma non ritiene compiuta la missione degli USA nel Mondo, tanto meno la possibilità da parte di questa potenza di influenzare e far sentire ancora il suo peso. Per questo ritiene assolutamente primario il contributo alla realizzazione di una potenza europea “amica” che si esprimerà nel tempo in modo sempre più autonomo dall’alleato nordamericano ma che, tuttavia, troverà in questo il suo complemento strategico.
Gli USA dovranno gestire la formazione di un sistema multipolare accettando l’entrata della Cina nel novero dei grandi e, più in generale, operando una completa rivalutazione del continente asiatico con una particolare attenzione, oltre che al Giappone, anche all’India quale paese emergente.

In definitiva un libro scritto da un americano, con la sua cultura, i suoi principi, le sue priorità, ma che si impegna per trovare una soluzione aperta e intelligente che realizzi il nuovo ordine mondiale.

Fano, 16 marzo 2004

Charles A. Kupchan.
La fine dell’era americana.
Politica estera americana e geopolitica nel ventunesimo secolo.

Titolo originale: The End of the American Era. U.S. Foreign Policy and the
Geopolitics of the Twenty-first Century
Editrice: V & P Università. Collana ASERI (Alta Scuola di Economia e
Relazioni Internazionali).
Costo: € 25,00

C.A. Kupchan è associate professor alla Georgetown University di Washington
e senior fellow presso il Council Foreign Relations. E’ stato membro del
Policy Planning Staff al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e, durante
la prima amministrazione Clinton, Director for European Affairs presso il
National Security Council. In passato ha collaborato con importanti centri
di ricerca, tra cui il Center for International Affairs di Harvard,
l’International Institute for Strategic Studies (Londra), e il Centre
d’Etude et de Recherches Internationales (Parigi).
Tra le sue principali
pubblicazioni: Atlantic Security. Contending Visions (New York 1998),
Nationalism and Nationalities in the New Europe (ithaca 1995) e The
Vulnerability of Empire (Ithaca 1994).

Print Friendly, PDF & Email