La guerra di Bush: LA PAURA E L’ARROGANZA

Relazione sull’intervento di Marco Tarchi all’incontro avvenuto ad Ancona il 17 gennaio 2003 e organizzato dal CLAR per la presentazione del volume “La paura e l’arroganza”, lavoro collettaneo a cura di Franco Cardini e di cui il professor Tarchi è uno degli autori.

L’idea di questo libro, “La paura e l’arroganza”, è nata in capo a Franco Cardini con l’intento di mettere insieme interventi provenienti da sensibilità e percorsi differenti. È stata una idea che ha dato i suoi frutti.

Il lavoro nasce da una sensazione di grave disagio e frustrazione collettiva che ha preso molti di noi non all’improvviso, ma al culmine di anni passati soffrendo il paradosso dell’attuale società della comunicazione, teoricamente dotata di strumenti per far arrivare alla superficie le voci più diverse su tutti i grandi temi di dibattito dell’attualità, ma di fatto terribilmente restrittiva nella fase di selezione e di proposta al grande pubblico delle voci considerate a seconda dei casi, gradevoli o sgradevoli.

Un po’ tutti coloro che hanno contribuito a questa operazione culturale ed editoriale, si erano già trovati in sintonia, a prescindere dai punti di partenza o dei percorsi, alcuni anni prima, in occasione del conflitto che aveva coinvolto il Kosovo e la Serbia. Tutti avevamo sofferto quella esperienza come un grave episodio di cannibalismo di un continente che aveva già sopportato lungo l’arco del XX secolo due sanguinosissime guerre civili che lo avevano prostrato e reso quasi inerte difronte agli eventi della storia mondiale. Tutti noi avevamo non solo sofferto nel vedere che Paesi europei appoggiavano una operazione militare con aspetti anche molto crudeli e sgradevoli, i famosi danni collaterali, il coinvolgimento di civili, ma che vedeva anche armi, straniere al contintente stesso, che in Europa gettavano bombe e creavano una situazione di guerra che si sperava almeno di non affrontare più. Soprattutto tutti noi eravamo rimasti sconcertati da una cosa: come in occasione di quel conflitto, in Italia e non solo, fossero passati ad esercitare un ruolo di censura di cui non li pensavamo neppure capaci. Sottacendo quasi completamente, oppure demonizzando, oppure ridicolizzando tutte quelle voci che dissentivano dalla bontà della guerra condotta dalla NATO nei confronti della Jugoslavia.

Quando quella sensazione di disagio è stata moltiplicata infinite volte di fronte a ciò che è accaduto di orribile l’11 settembre del 2001, e si è assistito ad una sorta di esasperazione assoluta degli allineamenti politici, culturali e psicologici, per cui tutto ciò che intorno e dopo quell’evento è venuto, doveva essere obbligatoriamente inquadrato attraverso categorie analitiche precostituite, uscire o anche semplicemente scostarsi dalle quali era equiparato ad un crimine, per cui chi lo faceva si esponeva ad un vero e proprio linciaggio, alcuni di noi non ne hanno potuto più ed hanno pensato che fosse indispensabile mostrare in qualche modo che nonostante il clima plumbeo di censura che si era abbattuto sull’Occidente, bisognava avere il coraggio di mettere in discussione la limpidezza di certe verità che a noi non apparivano in gran parte tali, e che almeno si dovesse dare una chance a Paesi che si dicono democratici, di mostrarsi pluralisti nel settore più cruciale, nel sistema nervoso, cioè il mondo dell’informazione.

Sicuramente questa operazione ha visto la luce con successo per merito, in gran parte, di Franco Cardini, il quale ha saputo costruirsi, nel corso degli anni, una legittimazione personale e di ascolto molto ampia e in settori che superano le censure, le strettoie, le divisioni politiche. L’editore Laterza si mostrò interessato, infatti, a questo progetto, e dopo un periodo di incertezza, forse anche grazie al successo di libri anticonformisti sull’11 settembre (come il successo editoriale del saggio francese di Thierry Meyssan sul giallo del boeing caduto o non caduto sul Pentagono), il nostro volume ha visto finalmente la luce.

All’inizio l’opera è stata accolta con l’ostracismo che ci aspettavamo. Il Corriere della Sera o la Repubblica lo hanno di fatto ignorato, per non parlare dei grandi canali televisivi. Per fortuna il libro si è imposto con la propria forza raggiungendo in poco tempo le 15mila copie, un risultato notevole nel panorama letterario italiano per un saggio, e, cosa che ci premeva per i nostri obiettivi, è stato notato negli ambienti culturali e massmediologici. Ce ne siamo accorti anche attraverso segnali di ostilità, come l’attacco ricevuto durante la trasmissione Porta a Porta, poi c’è stata la partecipazione a due trasmissioni televisive della rete La7, e cioè L’infedele e Otto e ½, trasmissioni con ascolti certamente non elevati, ma importante per noi che abbiamo potuto toccare un pezzetto dell’iceberg informativo italiano.

Veniamo ai contenuti. Scrive Franco Cardini sul risvolto di copertina: “Questo libro raccoglie voci accomunate dal desiderio di passare aldilà dello specchio dei luoghi comuni, non sono voci univoche, anzi, alcune tesi propugnate da questo o quell’autore contrastano con le altre, sono interventi che in un modo o nell’altro esprimono e suscitano dubbi. Ci pare che fare vendetta e chiamarla giustizia, fare i propri interessi e chiamarla libertà, siano mistificazioni delle quali dobbiamo liberarci se vogliamo capire il mondo qual esso è”. Cardini ha scritto questo parole con intento assolutamente sincero, eppure avrebbe ben potuto dire altre cose che ha invece taciuto. “Sono interventi che in un modo o nell’altro esprimono e suscitano dubbi” viene detto, purtroppo, però, la tragedia della situazione che si è venuta a creare culturalmente e psicologicamente nei Paesi occidentali, oggi, è che su questi grandi temi che coinvolgono il presunto “scontro di civiltà”, la funzione critica viene ormai esercitata quasi da nessuno. Si creano automaticamente delle logiche sbilanciatissime nei numeri degli schieramenti, nelle quali si parteggia e si fa il tifo, si parte da pregiudizi e posizioni precostituite e da quelle non ci si scosta minimamente limitandosi a contrapporre argomento polemico ad argomento polemico, senza mai arrivare a mettere nell’altro il granello di dubbio che forse certe cose non sono come le si erano pensate prima: questa è la tragedia di una democrazia che è venuta meno ad uno dei suoi principi fondamentali, che è quello di riconoscere nel pluralismo l’essenza del proprio modo di essere.

Riesce a sfuggire il libro a questa logica? Forse, dobbiamo ammetterlo, solo parzialmente, ma di fondo, pur nascendo da un momento di esasperazione, il volume non ha l’intento di voler contrapporre propaganda a propaganda ma è stato pensato per porre nel dibattito attuale e futuro, quasi a futura memoria, alcuni argomenti, forti e sentiti, che oppongano soprattutto una volontà ad altre volontà, come quella di mantenere viva una prospettiva critica e di discussione contro la creazione di un consenso e la propagazione di idee e principi che costituiscano un nuovo ordine politico. Ad esempio, facciamo riferimento al cuius regio, cuius religio che sembra tornato alla ribalta come uno dei principi cardine del nuovo ordine mondiale, per cui, chiunque si trovi a vivere da “questa parte” del mondo deve obbligatoriamente incarnarsi in un modello di civiltà dato una volta per tutte, e in nome del quale ci si deve contrapporre necessariamente ad altri modelli di civiltà, altrettanto stereotipati e posti come spauracchio e nemico. Oppure pensiamo al concetto, a noi molto caro, di identità distintiva e nazionale, che oggi viene ripreso e stravolto per porlo come una pietra nella costruzione di una solidarietà “occidentale” e che in realtà è molto più (o solamente) “americana”. E ancora, il tornare prepotentemente sulla scena del concetto di guerra dopo che per decenni era stato giustamente ripudiato e trattato al pari di una bestemmia.

Ecco, tutti questi granelli di sabbia nell’ingranaggio del sistema, il libro cerca di porli. Quello che abbiamo voluto fare, senza essere troppo retorici, è stato esprimere una linea di resistenza intellettuale contro una tendenza omologante del pensiero, della quale i veri e sinceri democratici dovrebbero essere i primi a preoccuparsi. L’espulsione tramite demonizzazione ed esorcismo delle idee non conformi, è l’anticamera di forme dittatoriali o autoritarie, che evidentemente nella nostra epoca non possono assumere incarnazioni simili a quelle di decenni o secoli fà. Oggi si utilizzano sistemi diversi per arrivare agli stessi risultati: possono essere più belli o meno brutti, magari più frequentabili, sono sicuramente meno individuabili, però ci sono. Resistere a questa tendenza vuol dire, in una certa misura, rivendicare una radice fondamentale, una radice pluralistica che dovrebbe essere alla base di tutte le democrazie.

Questo libro esprime dunque una testimonianza, ma non si limita a questo (sarebbe un risultato minimale e insufficiente), vuole anche, e soprattutto, indicare una possibilità: dietro e dentro le variazioni dello scenario internazionale che hanno fatto seguito all’11 settembre, si potrebbe leggere, finalmente, dopo decenni di aspettative più o meno dubbiose, il principio di una frantumazione delle vecchie appartenenze, dei vecchi antagonismi politico-ideologici, che abbiamo ereditato dal secolo tragico delle due guerre mondiali, se non addirittura per certi aspetti, da fenomeni di fine ottocento o precedenti. Non è possibile continuare ad atrofizzarsi intorno a conflitti ed antagonismi che trovano addirittura la radice nelle fratture che hanno percorso l’Europa dal XVI sec. in poi, con i conflitti stato-chiesa, centro-periferia, città-campagna, capitale-lavoro… ci si avvale di sistemi di informazione e manipolazione psicologica, oggi diffusissimi, per continuare a radicare quel tipo di antagonismi ormai desueti, nelle menti dei nostri contemporanei.

Molti eventi degli ultimissimi anni e soprattutto quelli nati dopo l’11 settembre, e che in questo libro vengono trattati in modo piuttosto “iconoclasta”, dimostrano che quel tipo di schieramenti e antagonismi non servono assolutamente più a capire il divenire delle cose nelle quali ci muoviamo. Sono quindi un segnale di qualcosa che sta andando in direzione della necessità e dell’obbligo di saperci finalmente unire o contrapporre per quello che oggi accade, per i problemi che abbiamo di fronte e non per le eredità che ci hanno lasciato le generazioni dei padri, nonni e bisnonni. Anche questo libro può essere, nel suo piccolo, la chiave per aprire una porta verso il futuro. Con quali risultati? Non lo sappiamo, ma intanto muoversi dalla palude è un bel passo avanti.

Anche dal punto di vista “metodologico” è giusto però metterci in guardia da pericoli che ci si pongono già di fronte. Un rischio che si può paventare, è quello di cadere nelle ricostruzioni “dietrologiche” durante le analisi dei fatti della politica internazionale odierna. Sappiamo tutti esistere un lato oscuro nella storia delle vicende umane, e che spesso sono le motivazioni e gli interessi non detti ad essere quelli che in realtà muovono le vicende. Anche per l’11 settembre… chi non ha pensato almeno per un momento che dietro possa nascondersi un qualche complotto? Il rischio che si corre in tali vicende, però, è che finché non si trova esattamente un bullone avvitato in quel determinato punto, si rischia un effetto Striscia la notizia, per cui tutto può avere l’ombra del “taroccamento” fino a non poter più distinguere il vero-falso dal falso-vero, ed alla fine, se nulla è più attendibile, se una teoria vale l’altra, la vulgata dominante finirà comunque col prendere il sopravvento e sarà accettata dalla maggioranza delle persone. Il pericolo è quello di prodursi in uno stimolante, intellettualistico, gioco di società, che però non muta le carte in tavola.

Allora cosa ci resta da fare? ingoiare ogni volta il boccone amaro ed abbozzare? Una risposta può essere senz’altro quella di focalizzarsi sulla comprensione degli elementi che sono visibili a tutti, come le strategie geopolitiche ed economiche, e partire da lì per attaccare gli schemi dominanti e farli crollare. L’opinione pubblica è ormai pronta a capire che non regge la storiella propinata degli eserciti americani che vanno a difendere la nostra libertà contro i barbari annidati nell’antica Babilonia. Se è vero che l’informazione globale si regge su schemi di ripetizione di comportamenti, per cui subito dopo l’11 settembre, Colombani scrive su Le Monde “nous sommes tous des américains” e De Bortoli, quasi a rispondere ad una parola d’ordine, scrive sul Corriere della Sera “siamo tutti americani”, è pur vero che esistono ancora tanti intellettuali e opinion makers che non hanno messo la loro capacità di giudizio all’ammasso. Sono costoro che possono essere raggiunti e toccati, e attraverso di loro si possono creare tante piccole, grandi, crepe nel sistema della comunicazione. Noi abbiamo ricevuto tante attestazioni in tal senso dopo la pubblicazione del libro, ci siamo accorti che esistono ancora degli spazi di manovra. Prendiamo ad esempio il dibattito che sta nascendo attorno al dualismo fra Stati Uniti ed Europa: in Italia ne avvertiamo ancora solo qualche eco, ma in Francia tale dibattito è invece già molto forte, e si comincia a dire con forza che la disparità di interessi tra le due sponde dell’Atlantico sarà una cartina di tornasole per leggere gli avvenimenti futuri.

Certo, intaccare il colosso dell’informazione è una operazione di lungo periodo, siamo ancora ad un livello di Davide contro Golia, però l’importante è cominciare, ognuno coi suoi mezzi, ed arrivare a colpire in fronte il gigante non è poi così utopico.

Per approfondire la conoscenza sul lavoro del professor Marco Tarchi: www.diorama.it

AA. VV. : La Paura e l’Arroganza, a cura di Franco Cardini, edizioni Laterza, pagg. 160, 12€.

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