SESSUALITA’: i risultati di uno studio

Questa ricerca, che inizia con la stesura di un questionario, ha lo scopo di approfondire la tematica delle problematiche sessuali riferendosi in modo più specifico a chi, come noi, operatori nel campo dell’assistenza, affrontiamo l’argomento.

Il tema non si discosta da quello da voi scelto, anzi fornisce una visione a 360° del problema interagendo sulle figure che per loro connotazione storica devono essere in grado di “educare” e di “supportare” un uomo. Ma per essere in grado di erogare questo tipo di prestazioni gli operatori devono essere preparati e devono avere chiare le loro reali potenzialità.

L’educazione presuppone un apprendimento, e l’apprendimento si evidenzia attraverso un cambiamento del proprio comportamento.

L’operatore dovrà avere allora la consapevolezza delle proprie possibilità, intervenendo su quelle che abbisognano di un rinforzo o scegliendo di rinunciare al compito perché non affine con la propria personalità e le proprie credenze.

Ciò senza espressione di giudizio, ma con una estrema razionalità e autovalutazione.
Questo percorso dovrebbe portare secondo il nostro intendimento ad avere come risultato uno strumento di conoscenza e consapevolezza che conduca infine ad un giusto approccio a pazienti con problematiche di tipo psico-sessuale.

Qui di seguito vi presentiamo degli stralci del nostro lavoro che verrà ulteriormente approfondito dai risultati del questionario stesso distribuito a I.P. e E.T.

Il risultato di un intervento chirurgico di tipo demolitivo come il confezionamento di una stomia, produce inevitabilmente un cambiamento, una alterazione dell’immagine corporea e la persona può andare incontro a problemi riguardanti la sfera sessuale.
Da molto tempo la salute sessuale è considerata dagli operatori come un argomento che riveste una importanza fondamentale, ma malgrado questa consapevolezza molti di noi scelgono di ignorare questo aspetto non ritenendolo di nostra competenza, non integrato al processo di nursing.
Quando affrontiamo problemi sessuali ci possiamo sentire a disagio, ciò è dovuto a diverse ragioni.

E’ troppo personale, imbarazzante, o forse è considerato intrusivo o irrilevante. Esiste inoltre la difficoltà di sapere cosa si dice e come lo si dice. Indicazioni possibili nell’approcciare l’argomento “sessualità” potrebbero essere:

Fornire informazioni: informare il paziente ed il partner dei possibili effetti dell’intervento sulla funzione sessuale è da considerarsi un mezzo per prepararli al cambiamento.

Questo potrebbe aiutare a ridurre l’ansietà e non far andare incontro i pazienti a spiacevoli sorprese.

Verificare i problemi: il paziente potrebbe esprimere preoccupazione o mostrare stress per il cambiamento nella funzione sessuale. Per i pazienti che vivono una relazione sentimentale insoddisfacente la perdita di questa funzione potrebbe essere percepita come un sollievo ed un mezzo per evitare rapporti sessuali. Quindi approfondire il discorso con il partner.
Fornire un supporto: se si presentano difficoltà evidenti e difficili per noi da trattare, avere la possibilità di ottenere l’aiuto di uno specialista che aiuti a superare i problemi o ad utilizzare meglio le risorse rimaste. Dare il tempo al paziente di discutere di problemi sessuali.

Master (1995) sottolinea che la sessualità è da considerarsi come un aspetto della personalità. A volte, la perdita della funzione sessuale può condurre una persona ad essere demotivata, a sentirsi non amata e forse spiacevole.

La sessualità è da intendersi come una parte fondamentale della propria vita e delle proprie esperienze.

L’OMS definisce la salute sessuale come “l’interazione degli aspetti somatici, emozionali, intellettuali e sociali dell’essere umano, in grado di arricchire ed accrescere la personalità, la comunicazione, l’amore.”

La sessualità viene descritta come un complesso di caratteristiche umane presenti dalla nascita fino alla morte e che permeano la vita di un individuo.

Espressa positivamente la sessualità può dare molto piacere, ma in caso contrario ha la potenzialità di creare molti problemi.

E’ molto importante considerare come un individuo percepisce se stesso: una propria immagine positiva è in grado di mantenere l’autostima.

Negli anni sono state fornite diverse definizioni dell’immagine corporea, Price (1990) asserisce che è composta da tre componenti essenziali:

1) Realtà corporea – il modo in cui il nostro corpo è costituito, se siamo alti o bassi, i nostri colori e i nostri attributi fisici, ciò di cui la natura ci ha fornito.

2) Ideale corporeo – come noi pensiamo di apparire. Tutti noi abbiamo un ideale corporeo, come ci piacerebbe che gli altri ci vedessero. Questo è in continuo mutamento e viene influenzato da diversi fattori.

3) Presentazione corporea – come noi ci presentiamo agli altri. Il modo in cui ci pettiniamo, ci vestiamo, come ci porgiamo socialmente. Entro certi limiti il nostro presentarsi può essere controllato e riflettersi in quello che riceve e vede dagli altri.

L’immagine corporea è un attributo molto vulnerabile, dipende dal nostro vissuto, come individui noi tutti abbiamo un’immagine mentale del nostro corpo, formatasi nei primi anni di vita da percezioni visive, propriorecettive, cenestesiche.

Il modo in cui una persona si vede influenza il suo modo di sentire, di approcciarsi agli altri, di vivere la propria sessualità.

Sempre per l’OMS la salute sessuale include tre elementi:

1) La capacità di godere e controllare il comportamento riproduttivo e sessuale in accordo con l’etica personale e sociale.

2) Libertà da paura, vergogna, colpa, false credenze e altri fattori psicologici che inibiscono le risposte sessuali e danneggiano la relazione di coppia.

3) Libertà da danni organici, malattie e deficienze che interferiscono con le funzioni riproduttive e la sessualità.

Questo concetto di salute sessuale implica un approccio di tipo olistico della sessualità dell’uomo, un individuo che ha diritto all’informazione e al piacere, in tutti gli stadi della vita.

“Ogni individuo ha il diritto di godere di uno stato di salute sessuale, e questo diritto non deve essere compromesso dall’età, dalla malattia e dalla disabilità.” (Weston 1993)
E ancora: “La salute sessuale è determinata da diversi fattori, inclusi gli orientamenti sessuali.” (Kolodny, Master, Johnson)

La sessualità è stata spesso descritta da molti autori come un “ospite non invitato” nel rapporto tra gli infermieri e i pazienti. Rapportarsi con la malattia, non significa che abbiamo finito di essere esseri sessuati.

Gli infermieri hanno bisogno di capire che la sessualità è il risultato dell’interazione fra fattori biologici, psicologici e socioculturali e considerare che questi influenzano sia la propria sessualità che quella dei loro pazienti.

Come un infermiere approccia e interagisce con un paziente può influenzare il modo in cui lo stesso si esprime rispetto alla propria sessualità. L’ansia dell’infermiere nel trattare questo argomento, percepita dal paziente, può inibire la sua estrinsecazione.
William (1986) e Borwell (1995) hanno trovato che generalmente gli infermieri non si sentono a loro agio nel discutere con i pazienti di problematiche sessuali e che non ritengono sia loro responsabilità fornire informazioni in merito.

La mancanza di conoscenza del problema, la comunicazione inefficace e l’imbarazzo dell’infermiere possono contribuire a rendere difficoltoso parlare di problemi sessuali.

La carenza di privacy in ospedale e la non accettazione da parte degli infermieri dell’orientamento sessuale dei pazienti può ulteriormente interferire nell’espressione di queste problematiche.

Autoconsapevolezza, immagine corporea, autostima e il ruolo individuale nella società saranno influenzati dalla malattia o dalla disabilità. Il cambiamento della propria immagine può causare problemi di tipo emozionale che possono condurre a cambiamenti psicologici e una riduzione dell’energia sessuale.

Sebbene la funzione sessuale è potenzialmente normale, la sua espressione e attività è spesso inibita dagli effetti fisici e/o psicologici della condizione in cui si trova il soggetto.

L’incapacità di ottenere o mantenere un’erezione è comune in quegli uomini che sentono che la loro mascolinità è stata compromessa da una qualsiasi disabilità.

Una donna sottoposta a radioterapia alla vulva può avere un’immagine di sé negativa o provare repulsione pensando di aver avuto in cambio effetti distruttivi rispetto alla propria femminilità.

Questo tipo di reazioni possono restare misconosciute se esiste una riluttanza da parte sia degli infermieri che dei pazienti a parlarne.
Bisogna inoltre tenere conto delle reali conoscenze sulla sessualità di cui noi come operatori siamo in possesso. Infatti, una conoscenza non adeguata può portare a fornire informazioni non soddisfacenti e questo può determinare nell’interlocutore irritazione, stress e confusione.

Una carenza conoscitiva può condurre ad una perdita di fiducia e può sottostimare la nostra abilità professionale e il paziente sarà ulteriormente sottoposto ad uno stato di ansia maggiore. “Queste persone sanno quello che stanno facendo?”
A volte quello che stiamo dicendo non corrisponde all’aspetto prosodico della voce o al nostro linguaggio corporeo e noi forniamo un doppio messaggio.
Il risultato sul paziente è confusione – a quale input deve rispondere?

Fornire informazioni ambigue lascia il soggetto confuso, frustrato e rifiutato.
Quella che viene evidenziata in questa prima parte del lavoro è la necessità di approfondire argomenti quali: autovalutazione, conoscenza, informazione, processo comunicativo.

Vorremmo concludere questa presentazione con le parole tratte del libro “Il Corpo” di Umberto Galimberti, pag 125: “Se Freud ha potuto dire che nella storia sessuale di un uomo c’è la chiave della sua vita, è perché ha scoperto che la sessualità non è una infrastruttura biologica, ma il luogo in cui si ritrovano quelle relazioni e atteggiamenti di conquista o di fuga, le nostre relazioni con gli altri, il giudizio che formuliamo sulla nostra condotta; la nostra personale accettazione e il nostro infelice rifiuto trovano la loro spiegazione nella nostra vicenda sessuale, solo se questa non è più intesa come una funzione puramente biologica, regolata da leggi meccaniche, ma come qualcosa di così profondamente integrato nella vita totale dell’esistenza da determinarne lo stile, se non addirittura il significato ultimo……….La sessualità non è una infrastruttura fisiologica, ma una dimensione che attraversa da parte a parte l’esistenza, se è vero che il significato sessuale dei sintomi rinvia al passato e all’avvenire, all’io e all’altro in cui sono le dimensioni fondamentali dell’esistere; e in secondo luogo che queste modalità d’esistenza non hanno altra espressione che nel corpo, non nel senso che il corpo le indica, come una divisa indica una professione o un ruolo, ma nel senso che le abita fino alla malattia e alla menomazione”.

Nell’aprile del 1999 è stato presentato (dagli autori) a operatori sanitari, quali Infermieri Professionali ed Enterostomisti, un questionario dal titolo: “L’infermiere e la capacità relazionale verso la sessualità”.
Qui di seguito verranno illustrati i risultati ottenuti.
Dalle risposte date alla prima domanda si evince che il campione sottoposto al questionario mostra una proiezione veritiera circa il sesso dei partecipanti rispetto alla realtà della popolazione infermieristica in Italia.

Infatti il 32% è composto da maschi, mentre il 68% da femmine.

L’età degli intervistati è per il 90% tra i 20/30 anni. La scolarizzazione può essere definita soddisfacente, con una percentuale del 70% dei soggetti con scuola media superiore, 24% inferiore più biennio e il 6% del totale con laurea o diplomi universitari.

L’esperienza in ambito infermieristico degli intervistati va dall’1% per un anno di lavoro, 6 % da 1 a 3 anni e da 3 a 5 anni, 24% da 5 a 10 anni, 30% da 10 a 20 anni e oltre i 20 anni. Quindi una popolazione considerata piuttosto esperta.

Il 52% del campione esprime una reale difficoltà nel parlare di questo argomento, mentre il 45% dichiara che la stessa è inesistente.

Per quanto riguarda le conoscenze delle patologie e delle disfunzioni sessuali, il 22% ammette di possedere solo una preparazione superficiale sull’argomento, normale nel 65% dei casi e approfondita nel 10%, quindi il 75% degli intervistati ritiene comunque di avere una sufficiente conoscenza.

L’origine della stessa per il 44% è stata fornita da letture specialistiche, per il 41% da corsi professionali, documentari televisivi 25%, esperienza diretta 23%, corsi scolastici 18%, chiacchiere con amici 17% e l’1% con film.

Per il 90% del campione sarebbe utile un approfondimento professionale, per l’1% no, mentre il 6% risponde non so.

I canali scelti sono stati per il 60% tramite stage specifici, 30% formazione di base, 24% formazione complementare, 11% tramite la fornitura di apposita documentazione.
Sono state identificate le figure professionali atte a trasmettere tali conoscenze: per il 75% il sessuologo, 50% andrologo, 44% psicologo, 31% infermiere professionale, 28% ginecologo, 21% urologo, 15% psicanalista, 13% sociologo, 11% chirurgo, 3% altre figure e 2% medico generico.

Solo il 4% ha indicato il titolo di un libro, nessuna indicazione di testi specialistici.

Il 63% è concorde del fatto che non esistono figure di riferimento in questo ambito, il 16% ne conosce una, il 7% più di una.

L’81% è consapevole che durante l’ospedalizzazione possono insorgere nel cliente problematiche sessuali, il 7% no e un altro 7% pensa che comunque sia più importante la salute.

Se si è presentato il problema per il 64% la figura di riferimento per il cliente è stata identificata in quella infermieristica, per il 40% in quella medica e lo stesso è stato inviato per il 38% dei casi in centri specializzati, nel 30% dallo psicologo e 29% dal sessuologo.
La risposta alla domanda riguardo le patologie o terapie come causa di disfunzioni sessuali ha evidenziato che molte delle risposte dipendono in larga misura dal tipo di esperienza professionale del campione in questione, anche se vi è una adeguata informazione in merito.

Emotivamente, di fronte al tentativo del cliente di esternare i propri problemi nei confronti della sessualità, il 44% non ha alcuna reazione, il 32% prova piacere, il 23% prova imbarazzo e l’1% prova un forte imbarazzo.

Nello specifico il 41% mostra un profondo interesse, e comunica il suo parere, il 36% ascolta, ma rinvia ad un’altra figura professionale, il 17% mostra un profondo interesse e coinvolgimento, ma non si sbilancia, il 5% sdrammatizza con ricorso all’ironia, l’1% fa notare che tale argomentazione non lo riguarda, evita di rispondere direttamente, cambiando discorso o ricorrendo a frasi di circostanza, sdrammatizza accennando ai suoi stessi problemi al riguardo o lascia sfogare il cliente, ma poi gli ricorda che il problema non ha soluzione, un altro 1% ha segnato tutte queste risposte.

Il campione intervistato riesce a parlarne con maggiore serenità nel 55% dei casi con persona del suo stesso sesso, nel 30% con persona giovane, nel 28% con persona per cui tale problema è di enorme importanza, nel 20% con persona che conosce da tempo, nel 18% con persona del sesso opposto, nel 17% con tutti, nel 13% con persona anziana, nel 9% con persona che non conosce, nel 6% con persona che ha un problema lieve, nell’1% dei casi con entrambi i sessi.

L’argomento è stato trattato qualche volta dal 68% degli intervistati, spesso dal 18% e mai dal 12%. Ciò è avvenuto nel 38% dei casi in ambulatorio, nel 29% in luogo appartato, nel 24% in stanza di degenza e l’1% a domicilio.

L’approccio del cliente è stato per il 51% in apparenza casuale, ma studiato, nel 24% marcatamente intenzionale, 17% in apparenza veramente casuale.

Fattori condizionanti il colloquio sono per il 53% un adeguato tempo a disposizione, per il 46% conoscenza della materia, per il 35% l’ambiente adatto, per il 24% sia la conoscenza della persona che il non avere problemi in tale ambito, per il 21% il saper utilizzare i termini giusti e per il 19% la conoscenza della psicologia.

L’82% si considera assolutamente normale dal punto di vista sessuale, il 6% superiore alla norma, il 5% superdotato, il 3% un poco carente e il 2% afferma di non avere attività sessuale.

Dal punto di vista professionale il 58% si considera ben preparato, il 33% mediamente preparato, il 6% un poco carente, l’1% estremamente preparato e nessuno si considera scadente.

Per il 54% è giusto che l’individuo malato si preoccupi della sua sessualità, benché ha evidentemente problemi di maggiore importanza, per il 53% occorre valutare caso per caso, per il 2% no: viene senz’altro prima la salute e per l’1% solo se la sua infermità è lieve.

Il 52% del campione intervistato ritiene che il problema in questione è di competenza infermieristica, il 18% ammette di non saperlo, il 14% sì, solo perché non se ne occupa nessun altro e per il 7% no: in nessun modo.

In questa prima fase sono stati esaminati i dati ottenuti, senza fornire una spiegazione degli stessi, qui di seguito verranno evidenziati i punti da noi ritenuti indicativi del problema in questione.

Lo scopo del questionario è quello di permetterci di possedere un reale strumento conoscitivo rispetto all’approccio dell’operatore sanitario nei confronti della sessualità. Ad un primo esame superficiale si evidenzia la figura di un professionista comunque informato, preparato e ben disposto culturalmente riguardo queste tematiche.

Ma siccome non ci vogliamo fermare di fronte alle apparenze, abbiamo deciso di approfondire ed in un certo senso essere costruttivamente critiche.

Il campione preso in esame è da considerarsi esperto dal punto di vista professionale, lo stesso ammette nel 52% dei casi di essere in difficoltà nel parlare di tale argomento, e ancora il 75% dichiara di possedere una conoscenza sufficiente rispetto a tali problematiche.

Da ciò si potrebbe dedurre che non basta essere esperti e preparati per essere in grado di affrontare questa specifica tematica.

Il problema all’interno degli operatori esiste ed è tangibile.

Ma continuiamo.

La domanda che tratta l’origine della conoscenza di ognuno di noi verso le problematiche sessuali, rappresenta un indice prezioso per la comprensione dei dati precedenti, infatti, le notizie che vengono fornite rispetto a tale origine evidenziano che la maggior parte del campione ha risposto in modo, per così dire, inattendibile, basti pensare che il 44% afferma di derivare la sua conoscenza da letture specialistiche, dato in contrasto con il 4% che ha indicato il titolo di un libro e con nessuno che ha indicato titoli di testi specialistici. Il 25% afferma di averla ottenuta attraverso la visione di documentari televisivi.

Da una ricerca tra diverse mediateche e archivi RAI, non risulta l’esistenza di una percentuale così alta di documentari su queste problematiche specifiche, i dati reali si aggirano intorno al 2%.

Ed ecco che per ora possiamo dichiarare che il problema all’interno della categoria esiste e che il grado di preparazione è più basso di quello che evidenziato, il più delle volte all’insaputa degli operatori stessi.

Possiamo averne la conferma valutando le risposte seguenti.

Per esempio non è stata fatta alcuna selezione nei confronti delle figure professionali in grado di trasmettere tali conoscenze, sono state indicate tutte le categorie e ciò evidenzia una confusione generalizzata.

Ne consegue che il 90% degli intervistati ammette di avere necessità di incrementare la propria cultura specifica ed ha scelto come mezzo privilegiato di partecipare a stage monotematici sull’argomento.

Il 63% è concorde che non vi sono figure infermieristiche di riferimento, l’81% si dice consapevole che durante l’ospedalizzazione possono insorgere, indipendentemente dalla patologia, problematiche sessuali.

Questo è un altro dato significativo.

Esiste il problema, ne siamo consapevoli, ma nella nostra categoria non esiste la sensibilizzazione rispetto allo stesso.

Si evidenzia una reale discrepanza tra l’esigenza e la realtà. Questo per dei professionisti è da ritenersi inaccettabile, perché non si può essere consci del problema e non agire di conseguenza.

Il 50% ha risposto che nel caso in cui si è presentato il problema, la figura di riferimento è stata quella dell’ I.P.. Ciò ribadisce il concetto che anche volendo non è possibile non occuparsene e perciò a maggior ragione occupiamocene.

Emotivamente, il 56% del campione, di fronte ai tentativi del cliente di esternare i propri problemi riguardo alla sessualità, evidenzia ulteriormente il disagio esistente, da inserirsi in un contesto estremamente personale, sulla base delle proprie credenze ed esperienze.

Ciò sempre a discapito della nostra professionalità, e benché esista un malessere di fondo, il 100% non si esime dall’azzardare un parere, questo benché non ci si riconosca idonei, ognuno sente il bisogno di comunicare il suo pensiero.

Umanamente è encomiabile, ma come professionisti quali siamo, dobbiamo essere consapevoli dei nostri limiti e liberarci dalle insidie del pressappochismo.

Le risposte elusive, le improvvisazioni sono da eliminare.

Il 68% degli intervistati ha rilevato che il cliente utilizza una metodologia di approccio indiretta.

La domanda che ci dobbiamo porre è: chi di solito si rivolge ad un professionista ha lo stesso tipo di atteggiamento o fa delle richieste mirate?

Dove sta la differenza? Che percezione ha delle nostre capacità di aiuto il cliente che utilizza una comunicazione indiretta?

La maggioranza degli intervistati è rimasta stupita da questa domanda:
come ti consideri dal punto di vista sessuale?

L’82% ha risposto con “assolutamente normale”.

Questo è un dato che rivela la sua natura ambigua.
Esiste un disagio. Un imbarazzo. Non nei confronti della propria sessualità, ma verso quella degli altri? Sulla base delle nostre conoscenze, ciò è possibile ? Oppure è più verosimilmente corretto che queste credenze si influenzino una con l’altra.

Inoltre, nessuno ha contestato il fatto che noi non abbiamo specificato il concetto di normalità.

Questo termine trae il suo significato dal contesto storico culturale che gli imprime in prevalenza un valore ideologico, sulla base di livelli di prestazione socialmente e culturalmente definiti, allontanandosi dai quali il comportamento di un soggetto viene considerato inadeguato o deficitario.

E quindi quali parametri da utilizzare in merito? Siamo pronti ad affrontare le “normalità” degli altri?

Ritornando all’autoconsapevolezza della nostra preparazione in senso generale, il 91% del campione si dichiara ben preparato.
E allora, se si ha questa idea, si fa strada un concetto controverso e cioè che la nostra categoria sottovaluta l’importanza di queste problematiche (se fossero state considerate importanti, la maggiore percentuale del campione si sarebbe definito dal punto di vista professionale “carente”).

Ulteriore conferma ci viene dal fatto che noi operiamo una discriminazione, nel 56% dei casi, di chi si può preoccupare della propria sessualità.
Anche questi dati sono da considerarsi come indice della nostra sensibilità rispetto al problema, per noi esiste ma è marginale, siamo professionalmente preparati ma a disagio, non ce ne vogliamo occupare anche se siamo consapevoli di essere figure di riferimento ed in più operiamo una scelta nella tipologia del cliente che ha il diritto di esternare i propri problemi sessuali.

Da ribadire il concetto che per il 52% questo tipo di problematica è di competenza infermieristica, ma che manca una formazione specifica in senso solistico e che tutto ciò è condizionato per il 53% del campione da un’endemica carenza di tempo a disposizione, tipica della nostra categoria.

I risultati ottenuti rappresentano un momento di riflessione per farci crescere professionalmente, abbiamo messo da parte il “buonismo” imperante, vogliamo essere lucidamente critici, non per dissacrare, ma per costruire.

Il questionario è informativo per chi lo propone. Ci porta a pensare e a dare delle indicazioni e a non fornire risposte scontate.

A tutti noi le conclusioni.

“Non sono le cose in se stesse a preoccuparci, ma le opinioni che ci facciamo di esse”. Epiteto (I secolo D.C.)

Print Friendly, PDF & Email