Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

La denominazione di malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) viene usata per indicare condizioni morbose caratterizzate da un processo infiammatorio cronico che colpisce una o più sezioni dell’intestino. L’eziologia di tali condizioni non è ancora conosciuta e componenti immunitarie sono di rilevanza nella patogenesi del danno tessutale.
Caratteristiche cliniche comuni sono la tendenza alla familiarità, il decorso cronico intermittente, l’elevata frequenza di manifestazioni extraintestinali e la marcata efficacia al trattamento steroideo.
Si riconoscono due entità anatomo-cliniche distinte e diverse fra loro: la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.

LA RETTOCOLITE ULCEROSA

Che cos’è

La rettocolite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino crasso a eziologia sconosciuta. Fattori di varia natura sono stati ritenuti responsabili dell’insorgenza della malattia e del suo andamento cronico. Le teorie infettiva e alimentare non sono state supportate da evidenze scientifiche convincenti . E’ inoltre opinione comune che la rettocolite ulcerosa sia negativamente influenzata da fattori psicologici e che eventi stressanti siano alla base della malattia o quantomeno delle sue riacutizzazioni. Negli ultimi anni hanno destato grande interesse le ricerche immunologiche le quali hanno permesso di confutare la primitiva ipotesi che la malattia potesse derivare da una allergia alle proteine del latte vaccino. E’ stato dimostrato che le alterazioni immunitarie svolgono un ruolo determinante nell’amplificarsi e nel perpetuarsi del danno tissutale intestinale.
Le lesioni sono confinate alla mucosa. Il retto è sempre coinvolto, almeno a livello istologico, e le lesioni tendono a estendersi in modo continuo e uniforme fino a poter interessare tutto il colon. Il sanguinamento rettale è il sintomo più costante e il decorso è cronico intermittente.
I tassi di incidenza e prevalenza più elevati sono quelli riscontrabili nei Paesi a maggior sviluppo industriale. Per quanto riguarda l’Italia la distribuzione della malattia non sembra differire rispetto a quella degli altri Paesi europei.
La malattia colpisce indifferentemente maschi e femmine. L’esordio clinico avviene solitamente in età giovanile con un picco di incidenza fra i 25 e i 40 anni ma può insorgere in qualsiasi età.
Negli ultimi anni è stata avanzata l’ipotesi che fattori ambientali e/o genetici possano avere un peso determinante nello sviluppo della rettocolite ulcerosa e grande attenzione è stata posta all’alimentazione. Sembra infatti che una dieta ricca di grassi e zuccheri aumenterebbe significativamente il rischio di malattia mentre, al contrario, una dieta ricca di fibre e vitamine, eserciterebbe un effetto protettivo. Un altro fattore ambientale molto spesso associato allo sviluppo della RCU è il fumo da sigaretta ma studi epidemiologici e osservazioni cliniche e sperimentali indicano che il fumo da sigaretta avrebbe un effetto protettivo nella rettocolite ulcerosa. Sembra infatti che la nicotina sia efficace nel ridurre i sintomi attivi ma che comunque non abbia incidenza alcuna nel mantenere la remissione. I meccanismi di questo processo non sono per il momento ancora conosciuti. Ampi studi hanno inoltre evidenziato una forte tendenza alla familiarità e una componente genetica nella genesi delle MICI.

Sintomi:

Sanguinamento rettale:

Sempre presente quando vi sono lesioni attive. Tipo, entità e modi dipendono dall’estensione e dalla severità delle lesioni. I pazienti con lesioni limitate al retto (proctite) lamentano la perdita di sangue rosso vivo separato dalle feci o striato su feci normali. Quando la malattia si estende oltre il retto il sangue è commisto alle feci.

Diarrea:

La maggior parte dei pazienti con con lesioni attive lamenta diarrea: frequente emissione di feci liquide.
Dolore addominale:

Non è, nella maggior parte dei casi, un sintomo di rilievo. Dolori crampiformi anche di notevole entità si registrano nelle riaccensioni severe.

Anemia:

Anemia ipocromica sideropenica si osserva in oltre la metà dei casi, secondaria alle perdite ematiche.

Dimagramento:

Nel 40% dei casi è legato al diminuito apporto calorico, alla perdita di proteine, all’ipercatabolismo. Reperti obiettivi di rilievo si osservano solo in caso di riaccensioni severe, potendosi riscontrare distensione addominale, dolorabilità, riduzione dei rumori intestinali.

Decorso e prognosi

Nella maggioranza dei casi (3/4), la colite ulcerosa ha un decorso intermittente caratterizzato da fasi di riacutizzazione alternate a lunghe fasi di quiescenza della malattia spontanea o terapeutica. L’estensione delle lesioni non ne condiziona la frequenza ma la severità. Ogniqualvolta si entri in remissione parallelamente si estinguono anche le lesioni infiammatorie floride. La qualità della vita dei pazienti portatori di colite ulcerosa è generalmente accettabile e la malattia non impedisce, se non con l’insorgenza di gravi complicanze, una normale attività lavorativa, sociale e familiare. Solo nel 20% dei casi si procede ad intervento chirurgico di colectomia.

Complicanze

Nella RCU le complicanze più frequenti sono le manifestazioni extraintestinali. Fra queste le più comune sono le spondiloartriti (SP) che si manifestano nel 15/20% dei malati interessando le grosse articolazioni. Come nel caso delle MICI anche per le SP l’eziologia è ancora sconosciuta. Le principali forme di SP sono le artitri periferiche e l’artrite assiale. In caso di artriti periferiche, le articolazioni più colpite sono quelle inferiori: ginocchio e caviglia. Solo nel 2% dei casi, invece, si osservano spondilite anchilosante e sacroileite (SP assiale) che possono decorrere in maniera clinica asintomatica.
Un’altra complicanza che la RCU porta con sé è l’eritema nodoso, che solitamente regredisce con il processo involutivo dell’infiammazione. La manifestazione cutanea più invalidante è sicuramente il ipoderma gangrenoso, che può manifestarsi anche in assenza di attività clinica della RCU. La complicanza locale più frequente è data dal cosiddetto megacolon tossico che si caratterizza all’esame radiologico diretto dell’addome per una dilatazione dell’intero colon o al colon traverso dove il diametro è superiore ai 7 centimetri. Il megacolon tossico non è un evento improvviso e si instaura gradualmente iniziando con modica distensione addominale, riduzione dei rumori peristaltici intestinali, distensione gassosa delle anse del tenue e il prodursi di un’alcalosi metabolica.

Diagnosi

La diagnosi si basa sul quadro clinico, sul quadro sigmoidoscopico o colonscopico e sull’esame istologico dei prelievi bioptici effettuati nel colon retto. E’ necessario escludere infezioni da Salmonella, Shigella, Campylobacter, Clostridium difficile, Amoeba.
La malattia può associarsi ad un aumento della Proteina C-reattiva, della conta piastrinica e della VES.
Un ruolo importante per la diagnosi spetta all’esame radiologico mediante clisma con doppio contrasto che consente un’accurata valutazione delle lesioni in tutto il colon.

LA MALATTIA DI CROHN

Che cos’è

La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria cronica, multiforme nei suoi aspetti istopatologici e clinici, che può interessare tutto l’apparato gastroenterico anche se si manifesta con maggiore frequenza a livello dell’ileo e del colon. Solo nel 1932 il dottor Burrili B. Crohn introdusse il termine ileite terminale per identificare quella malattia che sarà successivamente definita Morbo di Crohn. Da allora molteplici sono stati tentativi di identificare i meccanismi o gli agenti eziologici che portano all’instaurarsi del danno tissutale ma, purtroppo, ancora oggi la malattia di Crohn rimane una patologia di origine sconosciuta. L’ipotesi più accreditata è che un agente eziologico esterno determini in un individuo geneticamente predisposto una risposta immunitaria abnorme, con conseguente danno infiammatorio. Esistono diversi filoni di ricerca molto fertili in campo epidemiologico, immunologico e genetico che potranno consentire in tempi non lontani di avere maggiori informazioni se non sulla eziologia almeno sui meccanismi patogenetici attraverso i quali la malattia si manifesta. Questo porterà anche ad una azione terapeutica più mirata e selettiva al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti. Ciò che comunque è emerso dagli questi studi epidemiologici effettuati è che il MC si manifesta prevalentemente in soggetti d’età compresa tra i 20 e i 30 anni.

Fattori di rischio

I principali fattori di rischio che si ritengono correlati alla malattia di Crohn, anche se le conoscenze in questo campo sono ancora limitate, possono essere considerati:

• Fumo da nicotina

Il ruolo del fumo di nicotina nel determinare un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Crohn è stato ampiamente dimostrato. Il rischio di ammalarsi di MC nei fumatori è aumentato di 2-5 volte rispetto alla popolazione generale e il rischio è tanto più elevato quanto più alta è la dose di fumo inalata. Si è visto anche che i soggetti che mantengono l’abitudine al fumo dopo una diagnosi di MC vanno incontro ad un numero maggiore di ricoveri e interventi chirurgici. Sembra comunque che il fumo agisca da fattore scatenante e non da fattore causale della malattia e sulla base delle evidenze presenti sembra sensato invitare i pazienti con MC a smettere di fumare.

• Contraccettivi orali

studi prospettivi hanno dimostrato l’esistenza di un maggior rischio di malattie infiammatorie croniche intestinali in donne che assumono contraccettivi.

• Agenti infettivi: microbatteri, virus del morbillo, altri virus.

Le infezioni virali, in particolar modo quella del morbillo, contratte in età perinatale, costituiscono uno dei fattori di rischio identificati, associati allo sviluppo delle MICI anche se, allo stato attuale, nessun agente virale specifico può essere associato alla malattia di Crohn. L’ipotesi del morbillo è ancora da verificare mentre rimane solida l’osservazione del maggior rischio legato alle infezioni perinatali.

• Aggregazione familiare.

La ricerca epidemiologica ha anche dimostrato come vi sia un aumento di rischio in soggetti che hanno familiari interessati da questa patologia e nei gemelli monozigoti rispetto a quelli di zigoti.

• eventi del periodo perinatale

Sintomi:

• Diarrea,
• dolore addominale,
• anemia,
• dimagrimento,
• astenia.

Ipotesi eziopatogenetiche

La principale caratteristica della malattia di Crohn è senz’altro rappresentata dalla sua notevole eterogeneità clinica. Questo fatto ha fatto sorgere il sospetto che non si tratti di una malattia singola ed omogenea ma di un insieme di malattie differenti ad eziologie multiple. Dopo numerosi studi si è arrivati a ritenere che nel determinismo della malattia di Crohn entrino tre fattori principali:
1. il contenuto del lume intestinale, responsabile dell’insorgenza della risposta infiammatoria;
2. un’alterazione della membrana dell’epitelio intestinale, dovuta a cause genetiche;
3. un’alterazione del sistema immunitario umorale e cellulare.
Le modalità attraverso cui tali fattori interagiscono per dare luogo alla malattia non sono ancora del tutto note.
Molto interesse hanno suscitato anche le ricerche sulla flora batterica intestinale le quali hanno permesso di rilevare un’alterazione della flora batterica in termini qualitativi e quantitativi anche se non è possibile attribuire a queste caratteristiche peculiari della flora batterica un ruolo primario nella eziologia del Crohn. Ciò che sembra ormai incontrovertibile è l’impossibilità di attribuire ad un singolo batterio la causalità di tale patologia e che anzi non sia l’azione patogena di un singolo batterio quanto una risposta anomala, primaria o secondaria, ad antigeni batterici dotati di una potente attività biologica, a scatenare un insieme di reazioni immunitarie a cascata. Molti dunque sono i filoni di ricerca che si stanno sviluppando e, anche se non porteranno alla scoperta della causa o delle cause della MC entro breve termine, sicuramente consentiranno di fare chiarezza sulla patogenesi e quindi offriranno lo strumento per utilizzare le terapie in modo più mirato.

Manifestazioni extraintestinali

La manifestazioni extraintestinali della malattia di Crohn possono essere legate ad una fase di attività della malattia, ma possono essere anche l’espressione di una generica compromissione della funzione intestinale, o rappresentare delle alterazioni non specifiche. Possono interessare la cute (Lesioni cutanee:eritema nodoso, ipoderma gangrenosum. Lesioni delle mucose: stomatite afosa, malattia di Crohn “metastatica”), le articolazioni (Artralgie/artriti periferiche; Spondilite anchilosante, Osteoartropatia ipertrofica), gli occhi (Irite ed uveite ; Episclerite), l’apparato genitourinario (Litiasi renale; Idronefrosi ostruttiva; Convolgimento vescicole), i polmoni, il pancreas, oppure possono presentarsi sotto forma di amiloidosi, anemia, ritardo auxologico (deficit di accrescimento), malattie cardiovascolari e neurologiche.

diagnosi

Quando si sospetta una malattia di Crohn il primo esame da effetture dovrebbe essere una ileo-colonscopia con biopsie multiple, seguita da un esame radiologico dell’intestino tenue con mezzo di contrasto, e, se necessario, da una endoscopia del tratto digestivo superiore. La retto-sigmoidoscopia è di aiuto limitato alla diagnosi di Crohn, essendo diagnostica solamente nelle localizzazioni distali della malattia; l’attenta ispezione del margine anale e l’endoscopia possono essere un valido aiuto per la diagnosi. L’esame radiologico del colon (clisma opaco) trova la sua principale indicazione nei pazienti con scarsa compliance verso la colonscopia ( o dove questo esame non riesca, per problemi tecnici o per presenza di stenosi) e per la ricerca di alcune complicanze quali masse, tramiti fistolosi o stenosi. Dopo l’intervento chirurgico l’esame endoscopico può individuare recidive precoci che non sono ancora manifeste clinicamente e che non sarebbero visualizzabili mediante esami radiologici contrastografici. L’esame radiologico dell’intestino tenue costituisce il mezzo più affidabile per monitorare la storia naturale dopo la comparsa di recidiva.
Se possibile, non dovrebbero mai essere effettuati esami endoscopici completi in caso di colite severa. In questi casi è sufficiente una esplorazione endoscopica limitata al tratto distale del colon potenzialmente in grado di identificare il tipo di colite e facilitae la scelta terapeutica.
Altre tecniche utilizzate nella diagnosi della malattia di Crophn possono essere l’ultrasonografia (ecografia addominale), la risonanza magnetica, la tomografia computerizzata (TC).
• L’ECOGRAFIA permette un’agevole valutazione delle anse superficiali del tenue, del colon traverso e del sigma. L’ecografia tranrettale permette lo studio della parete ano-rettale, degli sfinteri anali e delle relative modificazioni anatomiche causate dalla malattia. L’ecografia addominale permette inoltre di individuare in maniera non invasiva alcune complicanze della malattia di Crohn.
• La RISONANZA MAGNETICA (RM) consente la visualizzazione globale dell’addome mediante la ricostruzione di organi e tessuti a livello di una sezione del piano corporeo. I vantaggi di questa metodica stanno nell’assenza di radiazioni ionizzanti, nella possibilità di effettuare sezioni multiplanari, e nell’eccellente visualizzazione dei tessuti molli.
• La TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA (TC) è senza dubbio l’indagine di riferimento per valutare le componenti extraluminali ed extraintestinali della malattia di Crohn. Il mezzo di contrasto endovenoso è di aiuto nella ricerca di formazioni ascessuali, ma non è indispensabile per la valutazione dell’ispessimento della parete intestinale. Gli ascessi appaiono come masse circoscritte tondeggianti della densità dei tessuti molli. Nella pratica clinica, di fronte ai risultati ottenuti dalla più economica ecografia il suo ruolo, rimane ancora limitato alla valutazione delle complicanze della MC.

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