Ricaduta economica e sociale dell’incontinenza

INTRODUZIONE

Avere invitato un chirurgo a parlare di ricaduta economica e sociale dei pazienti portatori di stomia e di incontinenza rappresenta una grossolana incongruenza od una sottile perfidia. Il chirurgo è sempre l’artefice consapevole e sublimato della stomia (incontinenza "buona") ed a volte a lui stesso o ad un altro è ascrivibile l’errore tecnico cui è riconducibile l’incontinenza urinaria e/o fecale (incontinenza "cattiva").
In nessuno dei due casi sarà il Chirurgo a fermarsi a pensare ai risvolti economico-sociali; nel primo perché in buona fede avrà considerato comunque indispensabile l’intervento di confezionamento di stomia, giudicando i benefici in termini di salute maggiori rispetto agli svantaggi, nel secondo perché in buona fede, inevitabilmente o per malpratica ha fatto quello che sapeva e poteva fare.
Dunque la prima risposta che viene in mente è: la ricaduta economica e sociale del paziente portatore di stomia od incontinente NON E’ UN NOSTRO PROBLEMA, non lo può e non lo vuole essere, non vogliamo essere schiavi di una gestione finanziaria della malattia. Tuttavia riflettendo bene viene da pensare che così come le monete possono avere un valore infimo intrinseco ma uno ben maggiore dal punto di vista convenzionale, numismatico, archeologico od artistico, anche le considerazioni economico-sociali in tema di malattia non sono necessariamente il risparmio bruto che ci viene in mente, ma nell’ottica dell’OTTIMIZZAZIONE DELLE RISORSE possono essere utilizzate per migliorare la gestione non solo della malattia in questione, ma anche L’APPROCCIO CULTURALE E PRAGMATICO all’universo salute-malattia.
Caratteristiche della Medicina moderna sono le valutazioni basate sull’evidenza e l’attenzione alla qualità della vita e questo comporta la definizione ed il trattamento non più esclusivamente delle grandi patologie, ma anche di un universo di problematiche apparentemente secondarie le quali, una volta risolto "il grande rischio", assurgono a problema principale in quanto quotidiano, con inevitabili ricadute economiche e sociali. Dunque dette ricadute possono e devono essere un nostro problema.
Bisognerà innanzi tutto sapere di che e di chi si sta parlando; non ho dunque solo cercato di documentarmi, ma avrò al mio fianco una stomizzata che parlerà per sé e magari per un altro tot di persone, senza la presunzione di essere un oracolo ma con la visione dell’altra metà del cielo colmando un vuoto che anche in questo Corso è apparso evidente.

NEL TERZO MILLENNIO

La prima domanda è dunque se stomia ed incontinenza sono due problemi o piuttosto due aspetti dello stesso problema. Indubbiamente gli atomizzati non sono una popolazione omogenea, le patologie che portano al confezionamento di una stomia sono talmente variabili e colpiscono le fasce di età più disparate così che le sequele chirurgiche che vanno affrontate sono piuttosto ripetitive se vengono considerate dallo stretto punto di vista anatomofunzionale, ma le più disparate se viene coinvolta l’intera entità della persona.
Certo le MICI, ad esempio, colpiscono persone generalmente giovani, attive dal punto di vista sessuale e lavorativo mentre le neoplasie sono più spesso a carico di persone più avanti con le età, ma anche questa grossolana ed artificiale differenziazione sta perdendo vieppiù di valore, considerando da una parte il miglioramento della terapia medica delle MICI che innalza l’età delle persone sottoposte ad intervento, dall’altra la diagnosi precoce delle malattie tumorali che fa operare persone più giovani ed aumenta la loro spettanza di vita.

Gli stomizzati sono comunque "visibili".

Diverso è il discorso per gli incontinenti urofecali: afferma Taylor: " Si è fatto riferimento all’incontinenza come ad una "congiura del silenzio". Fidarsi del fatto che il paziente riferisca spontaneamente l’incontinenza significa lasciarsi sfuggire la maggior parte dei casi. Un’ intervista mirata è la parte più importante della valutazione dell’incontinenza …."
Citando Cricelli e Giambanco: " I medici, ed in particolare i medici di medicina generale, hanno difficoltà a far emergere l’incontinenza urinaria nella sua completezza e nella sua complessità. Difficoltà di ordine medico, di relazione col paziente e di vissuto personale fanno di questa patologia un fenomeno spesso sottovalutato…….finisce con il connotarsi come una patologia dell’età avanzata, legata a condizioni patologiche gravi, oppure se presente in età giovanile come un problema lasciato alla sensibilità del paziente ed ai criteri di automedicazione approssimativi e spesso inadeguati."

Gli incontinenti sono dunque spesso "invisibili".

A nostro avviso l’unica, seppur grande differenza fra i due gruppi di pazienti è questa; per il resto entrambi convivono con una stigma che li identifica , seppure con gradi di gravità variabili: poche gocce di urina od un modesto soiling cui è sufficiente un pannolino fino ad una stomia mal confezionata e difficilmente apparecchiabile. Dunque consideriamo la stomia e l’incontinenza come DUE ASPETTI DELLO STESSO PROBLEMA, che è l’impedimento ad una normale vita di relazione.

L’incontinente dei primi anni del ‘900 e quello attuale

Siamo ormai definitivamente entrati nel terzo millennio e vi siamo giunti migliorando progressivamente tutte le nostre conoscenze le quali, agendo direttamente o indirettamente sulla Società, ne hanno modificato la struttura e, conseguentemente, i modelli comportamentali.
Tutto ciò per dire che per l’incontinente e per lo stomizzato i problemi di ieri non sono più quelli attuali e nelle problematiche individuali sono riflessi e rintracciabili sia i cambiamenti che i limiti della società attuale. Nel giro di cinquant’anni si è passati da una Società prevalentemente agricola alla cosiddetta società dell’informazione. Da un sistema che fondava la sua esistenza sui valori individuali e familiari, si è giunti ad un sistema che fonda nella società globale la sua stessa esistenza.
L’uomo rappresenta un ingranaggio di questo meccanismo proiettato a 360 gradi e diventa uno dei tanti pezzi che interagisce, non più nel piccolo gruppo, ma su scala planetaria. Se nella società agricola l’incontinente poteva avere problemi più strettamente tecnici dovuti all’arretratezza dei materiali di raccolta ora, nella città globale, l’ incontinente gestisce certamente meglio il suo sistema di raccolta ma avverte il peso della solitudine, della rarità – PRESUNTA – della sua condizione nonché dei rapporti sociali.
La sua "diversità", viene vissuta in modo negativo e insoddisfacente a livello relazionale e spesso accade che egli si pieghi su se stesso chiudendosi verso l’esterno.
La trasformazione, forse troppo rapida, della società ha lasciato lungo il percorso alcuni di quei valori propriamente umani che caratterizzavano il vivere quotidiano. Non ci si ferma più a scambiare due parole, non ci si ferma più ad ASCOLTARE ma si è costretti a correre perché mossi dal meccanismo perverso innescato dai sistemi di comunicazione. Il tempo è, oggi più che mai, denaro e se sei un individuo che perde tempo (ad esempio per andare al bagno) sei fuori. E’ anche per questo che l’incontinente si sente ed è considerato un "diverso".
Le persone cosiddette normali – bisognerebbe poi valutare quante ce ne sono – non hanno i ritmi dell’individuo incontinente e, forse ma non solo, proprio a causa di questo fatto, sorgono le difficoltà. C’è chi corre, c’è chi non lo può fare; c’è chi considera la vita una pista d’atletica leggera ma c’è anche chi la considera una maratona.
Il problema stesso della "diversità" non era tale fino a poco tempo fa, e non si poneva nemmeno come problema. Lo "scemo del villaggio", ad esempio, era pur sempre uno scemo ma era un individuo ben integrato nel gruppo: era una voce del coro.

"Without the bag my life would no longer be a life", così scrisse una stomizzata qualche anno fa. Ed è chiaro che, se fino a qualche tempo fa la stomia rappresentava il punto di arrivo, la risoluzione del problema malattia, ora la stomia è solo il punto di partenza per una vita nuova.
Se salvata la pelle la questione era risolta ora è solo all’inizio: il problema consecutivo è il reinserimento sociale del soggetto.

Lo Stomizzato e l’Incontinente visto dal Chirurgo

Certo che se fosse come nei libri sarebbe bello: le arterie rosse, le vene blu, i nervi gialli. Poi se i malati che ti capitano fossero un po’ persone cattive, universalmente riconosciuti come persone disdicevoli, diciamo Milosevic, non che gli confezioneresti apposta una stomia, ma il pensiero che comunque questa iattura sia capitata ad uno che aveva sfidato la Natura ti renderebbe più lieve quell’atto contro natura che è sempre la Chirurgia.
Lo è sempre poiché cerchi di porre rimedio ad una situazione che diversamente, secondo le leggi pure del ciclo della vita, sarebbe irrimediabile; non a caso fino a due secoli fa i Chirurghi erano osteggiati e guardati come agenti del demonio.
Cercando di curare la patologia maggiore spesso si incorre nell’induzione di patologie, minori per entità ma ugualmente importanti perché accompagnano la persona per tutta la vita.
Dell’Incontinenza siamo spesso artefici noi Chirurghi, e spesso inevitabilmente, per questo la nuova frontiera, chirurgica e non, deve essere anche riabilitativa.
Certo asportare un tumore, ricostruendo l’intestino ha un valore ben diverso dal confezionare una stomia; una pouch continente dà una soddisfazione ben maggiore che una ricanalizzazione inefficace dal punto di vista funzionale. Magari in entrambi i casi gli hai salvato la vita o addirittura sarà più longevo il paziente amputato radicalmente, ma la stomia è sempre una sconfitta per il Chirurgo, che lui lo ammetta o no e se non la sua, è una sconfitta della Medicina.

Lo stomizzato e l’incontinente visto dall’enterostomista

Ora, qual è la differenza per un infermiere tra un malato qualsiasi ed uno stomizzato, o meglio tra un altro "amputato" ed uno stomizzato od un incontinente?
La differenza sta indubbiamente nella presenza delle deiezioni che rendono spiacevole l’assistenza. Ed è diverso il vissuto dell’Infermiere di corsia, di quello in ADI o dell’Enterostomista?
I ritmi di lavoro nei reparti non permettono un contatto accurato con il paziente, questa è la realtà al di là del rispetto dei tempi e dei profili di assistenza.
All’infermiere "qualsiasi" è richiesto comunque di preparare e supportare il compito dello Stomaterapista:
• Eseguendo correttamente l’apparecchiatura della stomia.

• Dando la certezza della cura della stomia.
• Non manifestando disgusto od avversione.
Le prime reazioni di chi si occupa di una persona cui sarà o è stata confezionata una stomia definitiva sono la compassione e l’angoscia; entrambi questi sentimenti, pur leciti anche in persone che hanno liberamente scelto di vivere in mezzo alla sofferenza, possono provocare tre tipi di comportamenti PATOLOGICI da parte dell’Operatore:
1. PARANOIDE: Lo Stomizzato diventa fonte di pericolo e deve essere controllato in ogni modo

2. DEPRESSIVO: L’Operatore si sente impotente, crede di non sapere o potere far nulla per aiutarlo

3. MANIACALE: L’Operatore si sente bravissimo ed indispensabile ma non riesce a raggiungere efficacemente lo Stomizzato.

Tutte le figura professionali sono soggette a queste reazioni, saperle affrontare deve far parte del bagaglio culturale di ciascuno, il che si ottiene attraverso la FORMAZIONE del personale.
Questo è tanto più vero per il personale dell’ADI o delle RSA che non gode dei vantaggi che hanno per un verso gli infermieri di reparto (la presenza di altri colleghi e di medici) e per un altro l’Enterostomista (la competenza).
Dunque non solo addestrarlo a riconoscere nelle parole del paziente, spesso di circostanza e ripetitive, ansie, angosce, ed a saper rispondere, nella maniera più esaustiva, a queste richieste di aiuto, ma anche fornire la capacità di controbilanciare i propri tentativi di fuga, tenendo presente che il rischio di burn-out è tanto maggiore quanto più grave è la patologia in ballo.

"Ci sono uomini che non si possono rinchiudere" ovvero… La storia di Camilla

Quando aprii gli occhi, subito dopo l’intervento pensai che la persona che giaceva nel mio letto non fosse più la stessa di poche ore prima perché qualcosa era andato irrimediabilmente perduto.
La parte di me che avevo lasciato in sala operatoria non era biologicamente "tanta", ma quel "poco"che mi era stato tolto rappresentava, in effetti, molto perché era una parte veramente importante, una parte che prima della malattia aveva espletato egregiamente le sue funzioni e ora non c’era più. Ogni tanto, i miei "carnefici" venivano a vedere come stava proseguendo il decorso post operatorio ed essi mai sapranno con quale intensità io odiai i loro sorrisi e le loro scontate parole di conforto.

Certo, sapevo perfettamente, dato che ne ero stata preventivamente informata, che cosa mi avrebbero tolto ma ciò non elimina il fatto che dovessi trovare qualcuno cui addossare la responsabilità dell’accaduto: essi avevano reciso, eliminato con un colpo di bisturi, ogni mia futura speranza in una possibile, quanto improbabile, guarigione.
Mi rimisi in piedi con la consapevolezza che non sarei mai stata più "sola" perché quella "cosa" che avevo sulla pancia mi avrebbe accompagnato per il resto della vita. Che cosa dovevo fare a questo punto? Accettarla? Rifiutarla? Accettarla non avrei mai potuto dato che esteticamente non possedeva i caratteri di ciò che oggettivamente viene definito "bello"; rifiutarla nemmeno perché era carne della mia carne e niente e nessuno avrebbe mai più potuto "distaccarmi" da essa.
Non restava che un’unica soluzione: sopportarla e allo stesso tempo combattere la sua pretesa di egemonia, in una parola GESTIRLA. In quel periodo, non si poteva certamente parlare di adattamento perché, la mia, fu più una reazione dettata dallo spirito di sopravvivenza che un vero e proprio adattamento. L’adattamento include in sé una sorta di accettazione, proprio ciò che io non avevo.
Il pensiero che più mi turbava era, in realtà, una preoccupazione che consisteva nella paura di aver perso ogni libertà.
Lavoro, viaggi, relazioni sociali, amore e amicizie sarebbero state ancora possibili? Sarei stata accettata per quello che ero o per quello che apparivo? Sicuramente l’apparenza rispecchia molto ciò che siamo; come potevo allora passare inosservata, scomparire fisicamente e far emergere solo il meglio di me? Non sarebbe stato mai possibile. E’ questo ciò che fa più male: la paura di non essere accettati e la paura di non essere più liberi.

Il tempo, per mia fortuna, trascorreva inesorabilmente e giorno dopo giorno stavo accumulando esperienza nella gestione pratica della stomia. Le avevo dato anche un nome: Camilla. Alla nascita Camilla faceva molti capricci, stava sempre sveglia, si sporcava continuamente e bisognava accudirla durante tutto l’arco del giorno e della notte.
Questa sua ininterrotta attività mi procurava un grande stress, sia fisico che psichico, tanto da indurmi spesso al pianto. Piangevo perché mi sentivo impotente, perché ero incapace di porre in qualche modo rimedio alla situazione e perché soprattutto, mi sentivo sola.
I miei familiari mi erano sempre accanto e non avrei dovuto soffrire di solitudine, ma la "mia"solitudine era di tipo diverso, era la solitudine di chi sente unico e raro e che non ha nessuno col quale condividere lo stesso genere di esperienza, col quale condividere lo stesso tipo di emozioni e sentimenti dettati dall’aver vissuto entrambi una esperienza simile.
Questo è un genere di solitudine che, a mio parere, potrebbe essere definita come "solitudine da rarità della condizione".

Basta! Non ne potevo più di tutto, era arrivato il momento di darci un taglio, di buttare dietro alle spalle paure e solitudini e tornare …a vivere. La malattia, quel mostro da centomila denti che mi aveva mangiato pezzo dopo pezzo la pancia, aveva, oltre al resto, allontanato anche molti amici. Ebbene, mi sono dovuta interrogare anche su questo.
Si dice che i veri amici non se vanno, mai. E’ vero? Perché i miei si erano allontanati? Cos’era successo? Non erano veri amici o c’era qualcos’altro?
Inizialmente li colpevolizzai per avermi lasciata sola, ma in fondo sapevo che questa non era tutta la verità. Come si può coltivare l’amicizia se manca il contatto fisico, l’incontro, il dialogo? Alla fine mi resi conto che ero stata io ad aver allontanato loro perché desideravo non vederli, perché i loro discorsi mi infastidivano, perché loro non "capivano". Che presunzione la mia! E come avrebbero potuto capire? Capivano che stavo male ed erano dispiaciuti di questo ma come avrebbero potuto vedere il mondo con i miei occhi e percepirlo nel mio stesso modo?

L’amicizia non è la pretesa di uguaglianza ma il rispetto della diversità, la capacità di dire è giusto oppure sbagliato senza il timore di essere giudicati, l’accettazione tacita dei sentimenti altrui e non una loro condivisione: è un sentimento che annulla le distanze.
Arrivata a quel punto, presi una decisione. Dovevo farlo perché era in gioco la mia vita. Tornai sui banchi di scuola, frequentai corsi, mi iscrissi a circoli culturali perché VOLEVO rientrare in scena e volevo rientrarci al più presto. Fu così che incontrai molte persone e feci nuove amicizie; fu così che, poco a poco, non vidi più negli altri il "nemico"ma individui che, proprio come me, avevano anch’essi i loro sentimenti. Riacquistai l’autostima perduta.

Non è colpa di nessuno se siamo costretti a vivere determinate esperienze, non è colpa degli altri né tanto meno nostra. E’ così e basta. Questo genere di eventi non possono essere modificati e a noi non resta che una scelta.
La scelta di voler continuare per la strada un giorno intrapresa e che nessuno sa, e mai saprà, dove può arrivare. Resta il fatto che non mi sono mai sottomessa a Camilla, ma è stata Camilla ad accettare il mio modo di vivere.
Quella Camilla tanto indocile quanto indomita da gridare a tutt’oggi il suo desiderio di prevaricazione. In questa guerra a volte vince lei, a volte vinco io, spesso firmiamo una tregua per poi ricominciare a combattere. E’ un circolo vizioso che gira su se stesso senza vincitori né vinti. Quando mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se questo "incidente" non ne avesse modificato il corso, non so rispondermi.
La mia vita è quella che ho e non quella che avrei potuto avere se… ; è quella che mi da gioie, dolori, amore e speranza, quella vita vissuta non nella " normale diversità" ma nella "diversa normalità" dei miei giorni.

INCONTINENZA E SOCIETA’: I PERCHE’ DI UNA DIFFICILE CONVIVENZA

Il racconto di Maria Grazia esprime a mio parere benissimo un Costo sociale della stomia che tutti hanno pagato, mentre la reazione all’intervento ha connotati certo più individuali; cerchiamo allora di allargare la nostra visione verificando il

Costo psicologico

"La salute è il risultato di un sistema in armonia con se stesso ed il suo ambiente, un sistema autonomo ed autosufficiente, capace di conservare i propri valori."
La malattia è invece caratterizzata da un sentimento di diminuzione di autonomia per la perdita di un elemento ritenuto essenziale o comunque di particolare valore per l’autosufficienza del Sé.
Il valore della perdita è il risultato dell’integrazione tra le caratteristiche personali del soggetto che ha subito la privazione, il valore psicologico dell’organo deteriorato o perduto e comunque dell’alterazione corporea che ciò comporta, e le istanze sociali che possono comportare tali privazioni.
Sono quindi tre i parametri da tener sempre presenti nella malattia:
1. La personalità del soggetto ed il suo adattamento psichico, precedente la malattia.
2. Il tipo di patologia organica, l’organo colpito e le conseguenze somatiche della terapia.

3. Le ripercussioni di queste due situazioni sull’adattamento sociale del soggetto.

Questi tre parametri si presentano nel soggetto in esame frammisti e con assunzione di prevalenza a volte dell’uno, a volte dell’altro, cosa che comunque non deve far perdere a noi la consapevolezza che sono interdipendenti.
Le reazioni emotive ed angosciose arrivano al limite della sopportabilità umane tanto che la psiche ha bisogno di mettere in atto dei meccanismi difensivi che possano sopportare l’ansia determinata dall’idea della morte, morte intesa sia in senso stretto, sia come rottura di un precedente equilibrio, di una precedente vita, per iniziarne un’altra sconosciuta, oscura, minacciosa.
La quasi totalità dei pazienti presenta la REPRESSIONE e la NEGAZIONE come meccanismi di difesa:
La repressione ha il compito di tener lontano dalla mente il fattore stressante che comunque può essere volontariamente e completamente riportato alla coscienza.

La negazione ha il compito di escludere in maniera automatica ed involontaria dalla coscienza un certo aspetto disturbante della realtà oppure determina un’incapacità di riconoscerne il vero significato. Questo meccanismo fa sì che certi malati rifiutino la malattia non in maniera aperta ma con un diniego inconscio, a volte mascherato da razionalizzazioni che si traducono, nella pratica, nel rifiuto a piegarsi alle esigenze del trattamento o nel mantenimento di abitudini nocive, con disconoscimento totale del pericolo. Questo ultimo meccanismo di difesa, se utile all’inizio, deve essere riconosciuto e su questo si deve intervenire precocemente se non vogliamo che il paziente si allontani fatalisticamente da qualsiasi tipo di terapia.

Questi meccanismi si traducono precocemente in una sintomatologia di tipo depressivo che, se all’inizio può essere fisiologica, se non trattata, facilmente sconfina nella patologia.
Lo stomizzato e l’incontinente inoltre, hanno un corpo, organo di relazione con il mondo esterno, che cambiando, cambia i rapporti con l’altro da sé.
Questo tipo di sensazione di grossa alterazione psichica e fisica si associa all’idea dello sporco, delle deiezioni, delle situazioni incontrollabili, prima controllate dagli sfinteri. Ciò peggiora l’isolamento e la sintomatologia depressiva e dunque una ferita al corpo, indelebile e mutilante provoca una ferita psichica anch’essa indelebile e mutilante se non si interviene.
Non potremo dunque mai pensare di curare un essere umano in maniera parcellare quando la malattia lo colpisce in modo così totale; il paziente va visto nella sua globalità e l’Operatore dovrà avere la professionalità, la saggezza e l’umiltà di modulare le sue conoscenze sulla specificità di ogni singolo paziente e di utilizzare Esperti al primo accenno di necessità.
Dovremo essere disponibili ad aiutare senza essere invadenti, presenti ma non pressanti, intuitivi ma non presuntuosi, cercando per quanto possibile di non mischiare il nostro vissuto con quello della persona che professionalmente (e ricordiamoci di vestire questa unica veste) affianchiamo.

I problemi

Esiste un diverso modo di SENTIRE dello stomizzato, e dell’incontinente, e quello di coloro che cercano di "capire", di interpretare questo sentire. Bisogna ricordare che il malato è il solo Protagonista sulla scena della vita di se stesso e gli altri sono solo partecipanti, più o meno attivi, più o meno coinvolti.
Obiettivo del medico e dello stomaterapista è che il paziente stia fisicamente bene perché questa condizione è indispensabile anche per la sua salute psichica. Per i sanitari è estremamente necessario presentarsi con modestia e mai, dico MAI, dare l’impressione di avere interessi personali o, Dio non voglia, conti da regolare. Chi esercita il mestiere di enterostomista deve essere puro di cuore e di mente. Se siete tentati di vestire i panni dei "sapientoni" sarete certamente scambiati per dilettanti e giudicati uomini di poco conto.
Raggiunto lo scopo, ovvero il miglioramento fisico del paziente, sia il medico che lo stomaterapista potrebbero pensare di aver esaurito il loro compito e di essersi resi socialmente utili. Non è così per il malato. Mi riferisco in modo particolare a tutti gli incontinenti, perché un miglioramento delle condizioni generali non implica conseguentemente un ruolo attivo nella vita sociale. E tutti sappiamo quanto questo sia importante per vivere bene, per sentirci appagati, utili, per sentirci vivi.
Quando un bel giorno ti svegli con la stomia o con il pannolone, la prima cosa che ti passa per la testa è che non sei più la persona di prima e che forse non lo sarai mai più; che il mondo per te è cambiato perché sono cambiati i tuoi rapporti con le cose e le persone che di quel mondo fanno parte.

Necessità e bisogni, desideri e sogni non sono più quelli che avevamo. L’incontinenza porta inevitabilmente con sé un cambiamento delle abitudini perché improvvisamente ci troviamo catapultati in una realtà che non riconosciamo come nostra. L’umanità è sempre la stessa ma è cambiata la PERCEZIONE che abbiamo di noi stessi e del mondo esterno.
Il desiderio più forte, che a volte neghiamo persino di avere, è quello di tornare tra gli altri. Perché allora è così difficile farlo? Perché l’incontinenza ci rende prigionieri di noi stessi al punto da desiderare l’invisibilità sociale. Ma può anche succedere che neghiamo il problema e così MORIAMO; la negazione come morte è lo stato più drammatico che queste situazioni comportano. Nego il problema perché il problema non esiste, quindi non lotto, non combatto ma neppure mi difendo. MUOIO.

Il desiderio di invisibilità, al contrario, porta con sé il riconoscimento del problema che sfocia in una vita border line, una vita vissuta al confine della società, in quello stato della liminalità dove la vita non è totalmente vita ma dove la morte non è ancora.. Riconosco il problema, so che è il mio ma non voglio affrontarlo perché questo comporterebbe una mia personale implicazione: IL RIMETTERSI IN GIOCO.
Ai due estremi dunque stanno il morire ed il rimettersi in gioco, in mezzo altri modi di resistenza, altri modi di adattamento che l’Essere umano da sempre ha utilizzato, e non solo per affrontare le malattie, per sopravvivere.

"E così adesso stava lì, al centro dello studio, e pensava soltanto al proprio ventre; aveva paura di abbassare lo sguardo, ma se lo vedeva davanti agli occhi così come lo conosceva per averlo guardato mille volte disperata nello specchio; le sembrava di essere solo ventre, solo orrenda pelle rugosa e si vedeva come una donna stesa sul tavolo operatorio, una donna che non può pensare a nulla, che deve solo abbandonarsi e credere che tutto questo passerà, che l’operazione e il dolore passeranno e che intanto deve solo resistere". ("La vita è altrove", Milan Kundera)

La sopravvivenza comincia dalla famiglia, dagli affetti più cari, dalla sessualità, specie una volta superata la fase critica della malattia e dell’intervento.

INCONTINENZA E SANITA’: COSTI ED AUSILI PROTESICI

Il costo quotidiano della stomia e dell’incontinenza

Cerchiamo dunque di dare un’idea bruta del costo per la collettività con i dati desunti da alcuni lavori, primo fra tutti quello della Berto nel 1999 e dai dati fornitici dal Servizo farmaceutico territoriale della ASL 8 di Civitanova e Recanati, dove sono registrati circa 1655 "Incontinenti" e circa 200 "Stomizzati" su una popolazione approssimativa di 107.000 persone.
I dati sono assolutamente indicativi per svariati motivi:
• Non differenziano le stomie temporanee dalle definitive.

• Non si è in grado di definire quanto sia temporanea una stomia.
• La parte che affiora del mondo dell’incontinenza è minima rispetto a quella sommersa.

• I costi cambiano in ambito di Sanità pubblica a seconda degli sconti praticati e del sistema di distribuzione.

• Alcune Aziende Sanitarie sono meno sensibili alle problematiche rispetto ad altre.

• Difficile trovare delle incontinenze che non siano miste.

• Vi è un costo ascrivibile alla collettività ma anche una spesa aggiuntiva autonoma da parte di molti pazienti.
La spesa negli USA per l’incontinenza urinaria è di circa 16 miliardi di dollari, cifra che supera il costo annuale per la dialisi e la chirurgia aortocoronarica. Viene grossolanamente calcolato che in Italia esistano 1.270.000 donne affette da Incontinenza urinaria, di cui l’11.8% sotto i 60 anni. La spesa sociale annuale sarebbe di circa 1.170.000.000 di lire, con costi procapite che si aggirano fra 650.000 e 930.000.
La spesa per l’incontinenza fecale sarebbe inferiore, aggirandosi sulle 375.000 annue a paziente.
La gestione mensile di uno Stomizzato alla collettività costa circa 200.000 lire (sacchetti con o senza placche, un irrigatore ogni sei mesi, sacche per irrigazione, presidi protettivi ogni due), spesa che spesso viene da lui stesso integrata.

STOMIA E INCONTINENZA: quale invalidità?

Elenco delle menomazioni sulla base della classificazione internazionale dell’O.M.S. pubblicata con il titolo "International Classification of Impairement. Disabilities and Handicaps. A manual of classification relating to the consequences of disease" concerne le conseguenze della malattia, rappresentate dal complesso della menomazione, disabilità ed handicap o svantaggio esistenziale tra loro in interrelazione funzionale (malattia – menomazione – disabilità – handicap).

Menomazioni:

• Menomazione della funzione gastro-intestinale

• Menomazione della funzione urinaria
• Menomazione della funzione riproduttiva

• Menomazione degli organi sessuali

Apparato digerente:

Malattia di Crohn: Codice 6458 ( I classe) fisso 15%
6459 (II classe) 21 – 30 %
6460 (III classe) 41 – 50 %
6461 (IV classe) 61 – 70 %
Colite ulcerosa: Codice 6418 (III classe) 41 – 50 %
6419 (IV classe) 61 – 70 %
Fistola ano-rettale: Codice 6432 fisso 10%

Fistola gastro-digiuno-colica: Codice 6433 (II classe) 21 – 30 %
6434 (III classe) 41 – 50 %
6435 (IV classe) 61 – 70 %
Ano-iliaco: Codice 8201 fisso 41 %
Procidenza del retto: Codice 6471 fisso 8 %
Prolasso del retto: Codice 6472 fisso 5 %
Emorroidi: Codice 6101 fisso 10 %
Colonstomia: Codice 8204 41 – 50 %

Apparato urinario:

Cistectomia: Codice 6208 51 – 60 %
Cistostomia: Codice 8202 61 – 70 %

Lesioni della cintura pelvica: per l’esame dell’apparato uro-gentiale si demanda ad uno specialista che si avvarrà di particolari diagnostiche, per le valutazioni medico-legali.

La valutazione del danno

La valutazione viene riferita alla capacità lavorativa o attitudine al lavoro (art. 78 Testo unico), intesa come capacità biologica (fisio-psichica) a svolgere una qualsiasi attività lavorativa (il cosiddetto lavoro generico) che tuttavia ha come obiettivo il restauro della produttività sociale e del reddito lavorativo individuale.

Si verifica una condizione di inabilità quando, a causa dell’evento, la capacità individuale viene in parte o in tutto compromessa in modo temporaneo o permanente.
Per procedere alla valutazione del danno, il medico legale valutatore deve fare ricorso a:

• Inabilità previste nelle tabelle allegate al testo unico; l’attitudine al lavoro si intende ridotta nella misura percentuale indicata nelle tabelle. La perdita totale della funzione è equiparata alla perdita anatomica;

• Inabilità dovute alla perdita parziale anatomica o funzionale degli organi o di parte di essi: l’attitudine al lavoro si intende ridotta in proporzione al valore lavorativo della funzione perduta così come è indicato nelle tabelle;

• Inabilità dovute alla perdita di funzioni di organi non esplicitamente indicati nelle tabelle: l’attitudine al lavoro si intende ridotta in proporzione al valore lavorativo della funzione perduta considerata dai valutatori medico-legali secondo parametri indicativi.

Gli aspetti giuridici

La normativa a favore degli invalidi civili è effettivamente un settore importante; la Corte Costituzionale ha affermato che lo Stato, ai sensi degli artt. 2 e 38 1° comma della Costituzione, deve garantire ai soggetti con handicap, condizioni esistenziali compatibili con la dignità umana.
La previdenza sociale italiana comprende molte prestazioni e, per il diritto, occorre dar luogo all’esame di una condizione sanitaria da tradurre in termini che genericamente si possono riferire alla "validità" e spesso di una condizione lavorativo-sanitaria che coinvolge la sussistenza di un rapporto di causalità della malattia con la prestazione d’opera. Poiché i relativi accertamenti comportano l’applicazione di norme di legge o atti equivalenti che stabiliscono, necessariamente, delle definizioni, dal passaggio dalla formulazione astratta al caso concreto nasce la complessità dell’esame e delle conclusioni che se ne devono trarre.
La medicina legale riguarda i rapporti della medicina con la legislazione e la stessa attività amministrativa dello Stato; il medico legale conosce le definizioni e le interpretazioni che delle norme si devono e si possono dare. Tali definizioni hanno per oggetto la situazione sanitaria dell’uomo in sé e in rapporto a situazioni sociali, anzitutto al lavoro. A tal fine, l’opera del medico-legale è fondamentale.

Il costo della Riabilitazione è il costo della Civiltà.

Finanche quantizzandolo con i cosiddetti "conti della serva" la risoluzione del disagio sociale, fisico e psicologico fa risparmiare denari.

Sicuramente un ciclo di rieducazione funzionale del piano perineale è un risparmio anche in termini di danaro ed è difficile non pensare che siano colpevoli certi silenzi sulla Riabilitazione quando siamo invece sommersi da pubblicità per pannoloni e pannolini vari, salvaslip, deodoranti.Nell’arida Istituzione pubblica sanitaria normalmente l’aggiornamento e la spinta alla ricerca vengono dalle Aziende produttrici di farmaci e materiali; qui solo le Aziende che supportano la Chirurgia riabilitativa avanzata (Neuromodulatori, Sfinteri artificiali) avrebbero interesse a pubblicizzare la rieducazione, ma i pazienti inviati alla Chirurgia sono una minoranza e pochi i Centri in grado di praticare tale Chirurgia.
Sicchè quel 60% circa di pazienti che guarirebbero o migliorerebbero sensibilmente con la rieducazione funzionale, sia essa la semplice irrigazione (che fa acquisire la continenza passiva) od un mix di biofeedback, elettrostimolazione e kinesiterapia non hanno sponsor perché terminerebbero o ridurrebbero la loro partecipazione al guadagno di chi fabbrica presidi per incontinenza.

Un macchinario per la Riabilitazione si aggira come costo sui 3.500.000, l’ordine di grandezza non permette ai produttori investimenti pubblicitari ambiziosi.

E quante sacche in meno verrebbero consumate se il paziente, indirizzato senza gelosie in un Centro competente, avesse la SUA sacca fra le mille che esistono e che devono continuare ad essere disponibili non fosse altro che per lasciare a quella PERSONA la facoltà di scegliere.
Chiunque, come noi, lavori in un Centro che si occupa di tutte queste problematiche rimane ancora allibito dopo anni per l’approssimazione, la mancanza di desiderio di conoscere, l’ottusità di alcuni colleghi.
Per passare da tamponare a riabilitare bisogna sicuramente spendere; passione, umiltà tempo, dedizione.
Specie per gli Stomizzati poi, la distribuzione dei presidi riveste un’importanza capitale, crediamo che quella diretta da parte della stessa Azienda sanitaria sia la migliore opzione; essa è ottimale nei posti dove esiste un Centro di Assistenza Stomizzati; la competenza degli Operatori permette di modulare la fornitura sul paziente, di sopperire a carenze momentanee di materiale, vi è aggiornamento, collegamento con altri Centri e collaborazione con i vari Specialisti.
Il controllo garante della struttura pubblica elimina i rischi del volontariato (incostanza delle procedure, incertezza della cura, mancanza di standard di qualità) e frena pericolose tentazioni di guadagno sulla pelle dei pazienti.
Il costo della Riabilitazione è il costo della Civiltà perché prevede anche alcune modifiche strutturali e dell’ambiente di lavoro (disponibilità di bagni adeguati, condizionamento d’aria, parcheggi riservati, orari modulati ecc.)
Si discute spesso fra noi sull’opportunità di alcune di queste misure che da una parte favorirebbero i pazienti, dall’altra li farebbero individuare nonostante la loro apparenza sia spesso del tutto "normale".
Come per altri grandi diritti civili riteniamo che una normativa garantista per gli stomizzati e gli incontinenti debba esistere, lasciando a loro il libero arbitrio di usufruire o meno delle agevolazioni previste.

E la Civiltà è anche conoscenza ed addestramento; la latitanza dei supporti psicologici e le difficoltà tecniche nella gestione pratica quotidiana della stomia stroncano qualsiasi affascinante progetto.
Gli anziani, i non vedenti, i portatori di fistole, i Parkinsoniani, i vasculopatici e quanti altri erano abituati ad una indipendenza limitata, ma anche persone che vivono un evento gradevole come la gravidanza necessitano di un supporto ambientale che non coinvolge più solo la loro persona ma anche la famiglia o la struttura in cui vivono.
A queste problematiche, gli Operatori in gruppo, senza estemporaneità od invenzioni pericolose devono saper dare una risposta.
Lavorare per la formazione (del personale) e l’informazione (dell’utente) significa investire in salute ed investire in salute non può certo significare un guadagno reale, bensì la riduzione dello spreco della risorsa vita.

ERGO….

RIABILITAZIONE-RIABILITAZIONE-RIABILITAZIONE-RIABILITAZIONE!!!

o La riabilitazione come ausilio tecnico per una migliore qualità di vita

o La riabilitazione come supporto personalizzato per il reinserimento sociale post chirurgico
o La riabilitazione come ausilio psicologico contro le problematiche causate dell’incontinenza
o La riabilitazione come risparmio sanitario ma soprattutto come risparmio sociale

LA NUOVA FRONTIERA
Le nuove tecnologie ci hanno messo il mondo nelle mani. Questa grande occasione ci è stata offerta dalla Rete, da Internet, che ha collegato fra loro gli abitanti dell’intero globo ponendo a disposizione di chiunque una mole infinita di informazioni. Indipendentemente da ciò che ognuno di noi pensi riguardo alla globalizzazione, ad Internet va il grande merito di aver accorciato le distanze e velocizzato il trattamento delle informazioni.

Come si lega a noi Internet?
Internet è il CONTENITORE nel quale sta racchiuso ogni genere di notizia e ogni argomento scientifico di cui si avverta la necessità. Il vero problema non è tanto il modo con il quale trovare l’informazione – questo problema può essere risolto facilmente – quanto la capacità di elaborare l’informazione trovata.
L’informazione scientifica è una informazione di tipo particolare che può essere interamente compresa solo dagli specialisti perché non è immediatamente accessibile alla mente impreparata. E questo diventa più vero ogniqualvolta si parla di ricerca.
Tutti siamo a conoscenza della variabilità nei tempi della ricerca e tutti sappiamo bene quante ricerche iniziate non siano mai giunte a conclusione o abbiano, lungo il tragitto, cambiato strada per imboccarne delle altre al fine di giungere al traguardo.
Tra ricerca , sperimentazione ed immissione di nuove terapie sul mercato passano anni se non addirittura decenni : questo la gente "comune" non lo sa.
Ed ecco allora l’importanza della mediazione dell’informazione. Deve essere il medico a ricoprire questa figura; deve essere il medico a tradurre l’informazione e trasferirla al malato. Il "malato fai da te" non va bene. Certo, è’ giusto e saggio che egli cerchi informazioni e dimostri interesse per la conoscenza ma questo fare non va più bene nel momento in cui egli accetti per buono tutto ciò che la Rete mette a disposizione. Non è tutto oro ciò che luccica, dice un detto comune, e questo è bene che egli lo abbia sempre presente per non alimentare in sé false speranze.

QUALE FUTURO?

Qual è dunque il domani degli stomizzati e degli incontinenti?
Per la Società scientifica:
• Nella prevenzione
• Nella diagnosi precoce
• Nella cura modulata e presente nel tempo

• Nella ricerca innovativa
Per la Società civile:
• Nell’accettazione dei "diversi"

• Nella risoluzione del conflitto di interessi fra questi ed i "normali" in ambito lavorativo, familiare, sociale in generale
Per il Paziente:
nell’acquisizione di fiducia e di spinta migliorativa utilizzando l’enorme massa di conoscenze ora disponibili e non subendole.
Senza il concorso di queste tre componenti il domani è solo un altro giorno.

I bisogni

Arrivati a questo punto è doveroso dire che non ci serve compassione ma molto ascolto. C’è continuo bisogno di brave persone che prestino la loro opera per aiutare tutti gli incontinenti a superare i momenti di difficoltà.
Abbiamo bisogno di persone che, con capacità e onestà, si adoperino per dar voce alle nostre necessità e che lavorino avendo ben chiaro questo obiettivo. La strumentalizzazione dell’idea ha già favorito occasioni di lucro che possono andare ad influenzare negativamente i costi della sanità.
Stomaterapisti e medici possono AIUTARCI facendo del centro lo "speaker’s corner" del malato.
Come stomizzata, quindi come incontinente, ma soprattutto come Persona, ritengo che le difficoltà sociali quali l’integrazione e il lavoro, possano evolvere in INTERAZIONE solo attraverso una radicale e capillare campagna di informazione che disveli e mostri in tutta la sua interezza il problema: un altro mondo è possibile solo se matura la coscienza individuale e collettiva.

Basta vivere nell’ombra; basta il buio della vita border line; basta nascondersi. E’ necessario mostrarsi portando a galla i problemi e realizzando tutti quei progetti che in qualche modo soddisfino i nostri peculiari bisogni.
Quale rappresentante dell’Associazione AMICI MARCHE, malata di Crohn e stomizzata, ritengo che solo operando CON i malati e non solo PER i malati, molti dei problemi esistenti possano essere risolti.
Ecco allora che il concetto che a noi più sta a cuore é ancora una volta quello della solidarietà: non certo quello della distinzione, non certo quello della presa di distanza, ma quello della condivisione tra tutti coloro che fanno parte del sistema. La solidarietà che é alla base di una "famiglia" positiva, é parimenti alla base di qualsiasi ordinamento democratico, perché una democrazia che si basi soltanto sui diritti individuali e non sulla partecipazione e sulla condivisione delle regole e delle risorse é una democrazia che discrimina, che esclude, che crea ingiustizia; é una democrazia impossibile.
La Solidarietà é il fondamento del nostro essere liberi in una società giusta.
E’ necessario informare. Una informazione che partendo dal medico di base raggiunga le alte sfere della Sanità e le coinvolga in un dialogo costruttivo, fattivo e non solo in un dialogo.
Spesso noi siamo delusi dai medici di base a causa della loro latitanza. Sono necessari progetti importanti che facciano rientrare questa figura nel panorama della campagna sulla prevenzione. Perché, allora, non renderli partecipi di iniziative tipo questa? Chiamiamoli, rendiamoli coscienti che il loro può essere un "grande" contributo qualora accettino di lavorare insieme a noi.
Il futuro vicino è dunque in tre parole:
• Informazione.
• Prevenzione.
• Collaborazione.

"il solo fallimento consiste nel non tentare più". (E. Hubbard)

www.aistom.it

www.amicimarche,dalweb.it

Bibliografia
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– Artibani W. L’Incontinenza urinaria. Quaderni di Medicina. Pacini Editore. Gennaio 1998.
– Romano G et al. Diagnosis and treatment of fecal incontinence. Idelson-Gnocchi. Settembre 2000.
– Scali M. Problematiche psicologiche di stomizzato e stomaterapista. Atti del Convegno: La gestione della stomia. 1995.
– Malouf A.J. Clinical and economic evaluation of surgical treatment for faecal incontinence. Br J Surg 88(8), 1029-1036

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